Raggiungere una condizione di tolleranza dell'organismo rispetto all'organo trapiantato senza agire sull'immunosoppressione. È questo l'obiettivo di diverse ricerche in corso d'opera che hanno già sperimentato con successo i loro approcci su un esiguo ma significativo numero di pazienti che hanno ricevuto un trapianto di rene o di fegato.
Uno dei protocolli utilizzati è quello messo a punto dai ricercatori dell'Università di Stanford diretti dal prof. Scandling. L'approccio si basa sull'utilizzo in fase di post-trapianto di una globulina antitimocita con irradiazione linfoide totale a cui viene fatta seguire la somministrazione di un prodotto cellulare ematopoietico del donatore.
Quest'ultimo viene manipolato per il controllo delle cellule CD34+ CD3+ con riduzione ed eventuale soppressione dell'immunosoppressione in funzione della presenza di durevole chimerismo misto.
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