Di seguito i lemmi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Malattia degenerativa cronica delle ossa, caratterizzata da una rarefazione dell'osso e dalla formazione di tessuto osseo anomalo. Le sedi più colpite sono la tibia, il bacino, l'osso sacro, il cranio, il femore, la scapola e l'omero. Esistono forme con interessamento generalizzato dello scheletro. L'anomalia del tessuto osseo neoformato consiste nella sua scarsa calcificazione, specie lungo il margine periferico di isole di tessuto relativamente normale. Questo conferisce il caratteristico aspetto a mosaico o a mattonelle delle lesioni. L'osso è caratterizzato da porosità e consistenza quasi gommosa, che lo rendono più fragile e flessibile, nonostante sia più spesso. La causa di questa malattia è sconosciuta. Si manifesta con dolore, di solito al capo, alla schiena e agli arti inferiori. L'aumentato volume delle ossa colpite può provocare la compressione di nervi, con comparsa di vertigini, riduzione dell'udito ecc. Il soggetto può avere difficoltà di locomozione. Le ossa, più fragili e molli, tendono a incurvarsi o a fratturarsi più facilmente. Il trattamento terapeutico è indicato solo in caso di presenza di sintomi o di notevoli alterazioni dei parametri chimici (aumento della fosfatasi alcalina, ipercalcemia). La terapia, che ha come scopo la riduzione dei sintomi e la prevenzione delle fratture, si basa sulla somministrazione di farmaci antinfiammatori (come indometacina e ibuprofene), che sono in grado di ridurre il dolore, su un elevato apporto di calcio e fosforo associati a vitamina D (e ad alcalinizzanti urinari per evitare il rischio di calcolosi renale), su una maggior mobilizzazione possibile e riduzione del peso corporeo, infine su farmaci difosfonati, come il clodronato di sodio (spesso efficace alla dose di 100mg i.m. alla settimana), il pamidronato (consente il trattamento con una singola infusione endovenosa lenta al mese) e l'alendronato (in compresse), utili per inibire l'attività degli osteoclasti e ridurre il turnover dell'osso. L'uso della calcitonina di salmone viene riservato ai casi più gravi.
Grave forma di patologia ossea dovuta a progressivo riassorbimento osseo. Si presenta con fratture vertebrali, cifosi, perdita di peso. È tipica dell'iperparatiroidismo primario e dell'insufficienza renale cronica.
Malattia infiammatoria, acuta o cronica, delle ossa di origine microbica o traumatica. L'osteite tubercolare (oggi piuttosto rara) si localizza elettivamente alle epifisi delle ossa lunghe, e da qui diffonde all'articolazione contigua. Le parti dell'apparato scheletrico più colpite sono la colonna vertebrale, l'anca, il ginocchio. Altre forme sono l'osteite fibrocistica (vedi neurofibromatosi) e l'osteite deformante (vedi Paget, morbo di).
La terapia si basa sulla somministrazione di sintomatici (analgesici) e/o antibiotici; limitazione dell'uso o immobilizzazione dell'arto (apparecchio gessato per circa due settimane). L'infiammazione acuta del tessuto osseo può evolvere in lesione cronica; in questo caso è necessario asportare chirurgicamente la porzione di tessuto compromessa.
Processo infiammatorio, acuto o cronico, localizzato alle articolazioni e associato a lesioni ossee delle facce articolari. Può essere di origine ossea o articolare.
È una delle cause più comuni di disturbi dolorosi, colpisce circa il 10% della popolazione adulta generale, e il 50% delle persone che hanno superato i 60 anni di età. Durante il manifestarsi di tale patologia nascono nuovo tessuto connettivo e nuovo osso attorno alla zona interessata. Generalmente sono più colpite le articolazioni più sottoposte ad usura, soprattutto al carico del peso corporeo, come le vertebre lombari o le ginocchia.
L'articolazione interessata presenta caratteristiche alterazioni della cartilagine, con assottigliamento, fissurazione, formazione di osteofiti marginali e zone di osteosclerosi subcondrale nelle aree di carico. La membrana sinoviale si presenta iperemica e ipertrofica, la capsula è edematosa e fibrosclerotica.
Costituiscono fattori predisponenti l'obesità, il sesso femminile, traumi articolari, stress continuo, umidità.
I cambiamenti nello stile di vita, specialmente la perdita di peso e l'attività fisica, uniti alla terapia analgesica, rappresentano il perno del trattamento dell'osteoartrosi. Il paracetamolo rappresenta il farmaco di prima linea, mentre i FANS sono indicati solo nel caso il sollievo dal dolore non sia sufficiente, in relazione alla minore incidenza di effetti collaterali del primo nella terapia cronica.
I sintomi e i segni clinici che si presentano sono tutti localizzati nell’articolazione interessata e sono dolore, limitazione del movimento, rigidità, deformità articolare.
Nel caso di fallimento della terapia conservativa si ricorre al trattamento ortopedico, con il posizionamento di protesi. La chirurgia artroscopica nel trattamento dell'artrosi del ginocchio, tuttavia, non si è dimostrata migliore del placebo nel miglioramento dei sintomi dolorifici.
Lesione simultanea di un'articolazione e delle estremità ossee adiacenti. Una forma particolare è la osteoartropatìa ipertrofizzante pneumica, caratterizzata da un aumento di volume dello scheletro delle mani e dei piedi, che si può associare a broncopneumopatie croniche o a tumori polmonari e mediastinici.
Malattia degenerativa delle articolazioni (vedi artrosi). Il termine si riferisce al coinvolgimento del tessuto osseo articolare, che consiste nell'ispessimento di alcune aree (osteosclerosi), nella formazione di cavità ossee (geodi) e di prominenze ossee a forma di becco o di artiglio. Queste ultime, sporgendo al di fuori dell'osso, possono comprimere nervi o vasi sanguigni, provocando dolori o altri disturbi (vertigini nel caso dell'artrosi cervicale, disturbi della sensibilità e del movimento degli arti, formicolii ecc.).
Cellula mesenchimale che elabora il materiale necessario per la formazione della sostanza fondamentale del tessuto osseo.
È una cellula ricca di RER e apparato di Golgi, ha perciò un citoplasma basofilo, la superficie cellulare è provvista di corti e sottili prolungamenti; si trova nel tessuto osseo in formazione. L'osteoblasto origina da cellule osteoprogenitrici, dette preosteoblasti. La sua funzione è quella di produrre la matrice organica del tessuto osseo stesso, costituita di fibre collagene di tipo I, proteoglicani e glicoproteine; la matrice ossea precoce prodotta dagli osteoblasti, non cristallizzata, è detta tessuto osteoide. All’interno della matrice sono presenti numerose vescicole di secrezione ricche di un enzima caratteristico, la fosfatasi alcalina, e di ioni Ca2+ e (PO4)3-: queste vescicole costituiscono i primi nuclei di mineralizzazione della matrice. La membrana cellulare aderisce alla matrice pericellulare per mezzo di integrine specifiche.
L'osteoblasto contiene al suo interno delle granulazioni PAS-positive dette matrix vesicles o globuli calcificanti, provvisti di membrana e ritenuti l'agente che dà il via al processo di mineralizzazione. Tra le varie proteine secrete dall'osteoblasto troviamo anche la procollagenasi, enzima che, deposto nella matrice verrà trasformato nella sua forma attiva, la collagenasi, che sarà impiegata dagli osteoclasti nella demolizione delle fibre collagene. L'attivazione della procollagenasi è a carico degli stessi osteoclasti, che tramite una serie di proteine, arrivano a disporre della collagenasi matura.
Inoltre, l'osteoblasto (e la sua forma più differenziata l'osteocita) presenta sulla membrana anche dei recettori per il paratormone(PTH) grazie ai quali, una volta avvenuta l'interazione con il suddetto ormone, vengono liberati gli OAF (osteoclast activating factors), ovvero fattori di attivazione per gli osteoclasti, che inizieranno il processo di riassorbimento della matrice calcificata. Quando la funzione biosintetica cessa gli osteoblasti diventano osteociti, le cellule del tessuto osseo adulto, che occupano le lacune ossee.
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