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Malattia infettiva acuta molto diffusa tra i roditori, causata dal batterio Pasteurella tularensis, responsabile di lesioni molto simili a quelle tubercolari.
Viene trasmessa tramite la puntura di Insetti Ematofagi, le zecche e gli escreti di animali infetti, ma per l'uomo è sufficiente il contatto con soggetti contagiati.
Nell'uomo la malattia si manifesta con l'interessamento dei linfonodi regionali oppure con una congiuntivite.
Sono state descritte anche forme tifoidee, polmonari, meningee e orofaringee. La prognosi è favorevole se il trattamento a base di streptomicina e tetracicline è tempestivo.
Gonfiore indicativo di un'infiammazione, si evidenzia all'interno di una massa di un organo o di un tessuto come un rigonfiamento ben circoscritto ed e generata dall'essudazione e dall'infiltrazione cellulare. In taluni casi può anche essere prodotta da un edema da un accumulo d'aria, da un ascesso o da un versamento.
Malattia delle cellule che impedisce i normali controlli per cui si ha una crescita sregolata, mancanza di specificità e possibilità che si estendano localmente ai tessuti vicini.
Quello del polmone è il tipo di tumore più frequente nei maschi, ed è la prima causa di morte per cancro. Attualmente questa patologia in Italia è in calo nella popolazione maschile e in aumento in quella femminile. I principali fattori di rischio sono il fumo di sigaretta, attivo e passivo (statisticamente, un fumatore ha 23 volte più probabilità di ammalarsi di un non fumatore), l'esposizione a prodotti industriali, all'inquinamento ambientale, alle radiazioni.
I tumori del polmone si distinguono in diversi gruppi: il carcinoma a cellule squamose (il più diffuso negli uomini e circa un terzo dei casi totali), che si sviluppa nelle cellule che rivestono le vie respiratorie; l'adenocarcinoma, più frequente nelle donne, che si sviluppa nelle cellule che secernono il muco e spesso è associato a infiammazioni croniche o fibrosi polmonari; il carcinoma a grandi cellule, che colpisce circa il 15% dei malati; il carcinoma a piccole cellule (microcitoma, circa un quarto dei casi), dalle caratteristiche diverse rispetto agli altri tipi. Si può dunque operare un'ulteriore distinzione dei tumori del polmone: tumori a piccole cellule e non a piccole cellule.
I sintomi più comuni sono la tosse, secca o con emissione di catarro, la fatica a respirare e il dolore toracico. Segni e sintomi variano comunque molto a seconda della sede colpita e del tipo di tumore. In caso di sviluppo interno ai bronchi, si hanno difficoltà respiratoria, tosse persistente, dolore al torace, broncopolmoniti e versamenti pleurici. Nel caso di coinvolgimento della pleura può comparire dolore toracico, più o meno intenso. Uno dei segni più caratteristici è la presenza di sangue nell'espettorato, a seguito dell'erosione dei vasi sanguigni da parte della neoplasia. Nelle forme tumorali con sviluppo extrabronchiale può non esserci comparsa di sintomi; quando il tumore invade la parete toracica può causare dolori costali e versamenti pleurici. La crescita del tumore nel mediastino (l'area del torace compresa fra polmoni e cuore) può originare un ampio gruppo di sintomi noti come “sindrome mediastinica”: singhiozzo e paralisi del diaframma (per il coinvolgimento del nervo frenico), disfonia o afonia (coinvolgimento del nervo laringeo ricorrente), disfagia (coinvolgimento dell'esofago), aritmia (coinvolgimento del pericardio). Nel caso di propagazione verso le catene nervose all'apice della spalla si può produrre la sindrome di Bernard-Horner (miosi, ptosi palpebrale, esoftalmo, per la lesione delle fibre nervose simpatiche). In caso di ostruzione vascolare intratoracica può generarsi la sindrome della vena cava. Inoltre, ci può anche essere il coinvolgimento del sistema linfatico polmonare. Il microcitoma può dare origine a una serie di sindromi paraneoplastiche, di tipo endocrino-dismetabolico, scheletrico, neurologico, vascolare, cutaneo ecc.
L'approccio terapeutico ai tumori del polmone dipende strettamente dallo stato della malattia e del paziente al momento della diagnosi; si basa su chirurgia, radioterapia e chemioterapia. Bisogna dire innanzitutto che le possibilità di sopravvivenza sono basse: a 5 anni dalla diagnosi, a prescindere dallo stadio di sviluppo del tumore, sopravvive infatti solo il 13% dei malati, mentre si passa al 33% nel caso di tumori localizzati. Nei casi meno gravi, si interviene con chemioterapia ad alto dosaggio (i farmaci utilizzati, in varie combinazioni, sono cisplatino, etoposide, ciclofosfamide, adriamicina, vincristina), a volte associata a radioterapia esterna toracica. Se la malattia è diffusa, la risposta alla terapia è minore. Nel caso di pazienti che non sono in grado di sopportare chemioterapia ad alte dosi, si effettuano trattamenti chemioterapici a basso dosaggio, oppure brevi cicli di radioterapia, ma solo a scopi palliativi. Nel caso dei tumori non a piccole cellule si può scegliere la via chirurgica, nel caso in cui il paziente sia in condizioni di sopportare l'intervento e il tumore sia asportabile, tenendo anche conto della riduzione del tessuto polmonare dovuta all'intervento. In ogni caso, il trattamento chemioterapico si è dimostrato efficace almeno nel controllo di una parte dei sintomi legati alla patologia, come il dolore, le difficoltà respiratorie, la tosse e l'astenia.
I tumori al seno sono di vario tipo e richiedono trattamenti diversi. Proprio a causa della varietà, l'evoluzione può essere lenta o rapida con metastasi. Una grossa suddivisione prevede tumori in situ (in cui la zona malata è circoscritta) e tumori invasivi (in cui esiste una proliferazione cellulare anche al di fuori della mammella; il più comune tumore al seno è proprio il carcinoma duttale invasivo che aggredisce i dotti lattei). La formazione di metastasi ad altri organi avviene attraverso i sistemi linfatico e sanguigno. La scoperta di un tumore al seno avviene attraverso la rilevazione di masse palpabili (molte delle quali sono fortunatamente benigne) o di cambiamenti del seno (ispessimenti, gonfiori, increspature, secrezione, problemi ai capezzoli ecc.); la diagnosi viene fatta normalmente avvalendosi di una mammografia, un esame che se fatto periodicamente (anche in assenza di sintomi) può ridurre la mortalità del tumore di un 30%, permettendo un intervento in una fase precoce della patologia.
n Europa il tumore al seno rappresenta il 22% dei tumori maligni femminili e colpisce maggiormente le donne fra i 55 e i 65 anni. In Italia ne sono colpite 30.000 donne ca. con una mortalità di un terzo ca. Sono stati identificati alcuni fattori di rischio: l'ereditarietà (circa il 10% dei casi; geni potenzialmente responsabili sono il BRCA1 e il BCRA2 che innalzano il rischio complessivo di circa dieci volte la norma), il numero dei figli e l'età del primo parto (il rischio è minore quanti più sono i figli e quanto prima si è partorito), una menopausa tardiva o un menarca precoce, l'obesità, il fumo e le radiazioni. Dai fattori di rischio è facile stilare un comportamento preventivo: autopalpazione mensile, visita al seno periodica dopo i 20, ma soprattutto dopo i 50 anni, mammografia ogni due anni dopo i 40 e ogni anno dopo i 50 anni, alimentazione corretta evitando l'alcol, attività fisica regolare. La cura più efficace resta la via chirurgica (demolitiva nei casi più gravi con l'asportazione di tutta la mammella o conservativa con l'asportazione delle zone interessate), la terapia radiante (per evitare recidive), la chemioterapia (per controllare metastasi o per far regredire il tumore prima dell'intervento chirurgico), il blocco degli estrogeni (per evitare l'alimentazione del tumore da parte degli ormoni sessuali).
I tumori alla cervice sono neoplasie che colpiscono l'utero; possono essere di natura benigna o maligna. La cervice può essere interessata dai papillomi (spesso durante la gravidanza) e dal cancro del collo, il tumore più diffuso a carico dell'apparato genitale femminile.
Le cellule sulla superficie della cervice a volte possono presentare cambiamenti di natura non cancerosa. Si ritiene che queste modifiche atipiche siano il primo passo verso la formazione di un cancro; ossia, sono situazioni di tipo precanceroso. Quando queste cellule si diffondono nella cervice allora si è in presenza di un tumore. Questo tipo di lesione precancerosa (displasia) viene facilmente individuata mediante l'esame pelvico e il Pap-test, che è uno strumento fondamentale di prevenzione. Il trattamento di queste lesioni dipende da molti fattori (estensione e gravità, condizioni della paziente, future gravidanze) e si basa sulla criochirurgia, sulla cauterizzazione (diatermia), sulla chirurgia laser, sulla conizzazione. Nel caso in cui le cellule atipiche vengano individuate anche nell'apertura della cervice e se la paziente non intende più avere figli, si può procedere a isterectomia (asportazione dell'utero).
Se non si interviene preventivamente, si può sviluppare un carcinoma cervicale; il sintomo più comune è la perdita ematica anomala, presente anche al di fuori del ciclo mestruale oppure dopo un rapporto sessuale o una lavanda vaginale; inoltre il flusso mestruale può risultare più abbondante e prolungato. Per la diagnosi si ricorre alla colposcopia, con asportazione di una porzione di tessuto (biopsia), o alla conizzazione (si rimuove un campione di tessuto più esteso, di forma conica). In seguito si procede a esami ulteriori per valutare posizione e dimensioni del tumore (cistoscopia, proctosigmoidoscopia, Tac, Rmn).
Il carcinoma cervicale viene trattato con chirurgia, radioterapia, chemioterapia e terapia biologica. La chirurgia agisce localmente con l'obbiettivo di rimuovere le parti di tessuto colpite. Si può procedere come per le lesioni precancerose, nei casi meno gravi, oppure si asporta il tumore risparmiando utero e ovaie, ma in alcuni casi si deve ricorrere all'asportazione dell'intero utero, delle tube di Falloppio e dei linfonodi. Il trattamento radioterapico viene applicato localmente e può essere esterno (i raggi sono erogati da una macchina) o interno (una capsula con il materiale radioattivo viene collocata nella cervice); in alcuni casi si effettuano entrambi i tipi di trattamento. I cicli di chemioterapia sono utilizzati nel caso in cui il tumore si sia diffuso ad altri organi; si ricorre a uno o più farmaci in combinazione. Nella terapia biologica, spesso effettuata in associazione alla chemioterapia, si utilizzano farmaci (come l'interferone) che hanno lo scopo di stimolare il sistema immunitario a combattere la malattia.
La prostata è una ghiandola acinosa dell'apparato urogenitale maschile. Di forma triangolare con la base rivolta in alto, è divisa in due lobi mediante un solco mediano. Produce un secreto liquido, dovuto alle ghiandole del suo parenchima, che si mescola allo sperma.
L'adenocarcinoma della prostata è uno dei tumori più frequenti nei soggetti maschi di età superiore ai 60 anni (su cento maschi entro i 74 anni, dieci hanno o avranno un tumore alla prostata). La neoplasia si sviluppa lentamente, diffondendosi facilmente alle ossa e al midollo osseo; l'evoluzione è così lenta che molti malati muoiono per cause differenti dal tumore. Se tempestivamente diagnosticato (tumore localizzato), è possibile procedere alla prostatectomia (asportazione chirurgica della prostata) e successiva radioterapia e brachiterapia. Tra le possibili conseguenze dell'intervento chirurgico ci sono l'incontinenza urinaria e l'impotenza. Nelle forme già metastatizzate, l'intervento terapeutico può solo ritardare l'esito letale della malattia. La prevenzione è dunque fondamentale e può avvenire con visite urologiche periodiche, soprattutto per chi ha già avuto familiari con la stessa patologia. La semplice misurazione del PSA (antigene prostatico specifico) consente di valutare l'ingrossamento della prostata (che non necessariamente è sinonimo di tumore). Il PSA si verifica in genere dopo i 40 anni. I valori normalmente variano fra 0 e 4,0 ng/ml.
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