Di seguito tutti i lemmi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Admin (del 02/03/2011 @ 10:05:29, in Lettera S, visto n. 1385 volte)
Rara malattia genetica facente parte dell'eterogeneo gruppo delle malattie da accumulo lisosomiale, dovuta ad un accumulo di mucopolisaccaridi. La Sindrome di Sanfilippo è anche definita mucopolisaccaridosi di tipo III e il deficit enzimatico che la caratterizza causa gravi problemi di ordine mentale, influendo anche sulla funzionalità degli organi e sull'aspetto.
La sindrome di Prader-Willi è una malattia genetica rara caratterizzata da anomalie ipotalamico-pituitarie associate a grave ipotonia nel periodo neonatale e nei primi due anni di vita e alla insorgenza di iperfagia, che esita nel rischio di obesità patologica durante l'infanzia e nell'età adulta, a difficoltà di apprendimento e a disturbi comportamentali o problemi psichiatrici gravi.
L'ipotonia grave alla nascita comporta problemi alla deglutizione e all'allattamento e un ritardo dello sviluppo psicomotorio, ma tende a attenuarsi parzialmente con l'età. Sono state spesso segnalate caratteristiche facciali peculiari (fronte stretta, occhi a mandorla, labbro superiore sottile e bocca rivolta verso il basso) e mani e piedi molto piccoli.
Dopo questa fase iniziale, i segni principali sono l'iperfagia e la mancanza di sazietà che causa spesso, nei bambini affetti di circa due anni, obesità grave. In assenza di controlli esterni adeguati, la condizione può peggiorare rapidamente. L'obesità è la causa più importante di morbidità e mortalità dei pazienti. Altre anomalie endocrine correlate contribuiscono a un quadro clinico caratterizzato da bassa statura, deficit dell'ormone della crescita, e sviluppo puberale incompleto. Il deficit cognitivo è estremamente variabile e si associa a difficoltà di apprendimento e a uno sviluppo anomalo del linguaggio, spesso aggravati dai disturbi comportamentali e psicologici.
È dovuta ad anomalie della regione critica del cromosoma 15 (15q11-q13). Gli esperti concordano che la diagnosi debba basarsi su criteri clinici (i criteri di Holm del 1993, rivisti nel 2001) e essere confermata dalle analisi genetiche. La maggior parte dei casi è sporadica e i casi familiari sono rari; tutte queste informazioni dovrebbero essere fornite dalla consulenza genetica.
La diagnosi precoce, la terapia multidisciplinare precoce e la terapia con l'ormone della crescita (GH) hanno migliorato sensibilmente la qualità della vita di questi bambini.
Viene anche detta sindrome di De Morsier o displasia olfatto-genitale o ipogonadismo ipogonadotropo con anosmia.
E’ una malattia genetica,caratterizzata dall’associazione tra anosmia (ridotta o assente capacità di percepire gli odori),dovuta ad una agenesia dei lobi olfattori,e ipogonadismo (genitali poco sviluppati e assenza di pubertà spontanea),dovuto ad un deficit di GnRH ipotalamico.
La causa è rappresentata da un assente migrazione dal placide olfattivo all’ipotalamo dei neuroni che secernono GnRH durante la vita fetale. Diversi studi hanno messo in relazione la comparsa della malattia con alterazioni genetiche(delezioni e mutazioni) del gene KAL1; queste sono responsabili delle forme della sindrome legate al cromosoma X. Mentre responsabile della forma autosomica dominante è il gene che codifica per il recettore tipo1,responsabile della crescita dei fibroblasti (FGF).
Esistono diversi tipi di modalità di trasmissione: legata al cromosoma X, autosomica dominante o recessiva.
Il deficit di androne o il loro scarso funzionamento porta nelle prime settimane di vita intrauterina ad una mancata differenziazione dei dotti di Wolff e dei genitali esterni. Quindi le manifestazioni cliniche possono andare da un’ambiguità dei genitali esterni a uno pseudoermafroditismo maschile o alla femminilizzazione dei genitali esterni. Successivamente il deficit di androgeni determinerà micropene e una assente o incompleta discesa testicolare,pubertà spontanea assente. Inoltre subiscono alterazioni anche i caratteri sessuali secondari: scarso sviluppo muscolare,pene,scroto e testicoli piccoli,peli pubici e ascellari scarsi. Possono sviluppare ginecomastia e la crescita delle ossa lunghe non accompagnata dalla saldatura delle epifisi,può portare ad un habitus eunucoide. A tutto ciò si affianca un calo della libido e della forza muscolare.
A tutta questa sintomatologia legata all’ipogonadismo si associa una ridotta o assente percezione degli odori;quest’ultimo caso può essere accompagnato anche da alterazioni a livello renale,sindrome cerebellare e alterazioni neurologiche e,più raramente, a palatoschisi .
La diagnosi si basa sul reperto dell’associazione tra ipogonadismo ipogonadotropo e anosmia. La anosmia può essere documentata tramite RMN che mette in evidenza una ipoplasia dei bulbi olfattori; inoltre esistono diversi test olfattometrici. Per quanto riguarda l’ipogonadismo si effettua diagnosi attraverso l’evidenza clinica di pubertà inesistente e il dosaggio degli ormoni gonadotropi e sessuali.
Per quanto riguarda la terapia,esistono diversi schemi terapeutici che vengono applicati in base alle esigenze e all’età del paziente.
I bambini possono essere trattati con testosterone enantato; negli adolescenti con bassi livelli di androgeni,viene utlizzato testosterone enantato o cipionato; negli adulti si utilizzano strumenti farmacologici come il GnRH(somministrato in maniera pulsatile tramite una pompa per via sottocutanea) e gonadotropine(somministrate ogni 2-3 giorni).
Di Admin (del 17/11/2010 @ 15:48:52, in Lettera J, visto n. 4292 volte)
La sindrome di Jackson-Weiss è una malattia autosomica dominante caratterizzata da craniosinostosi, malformazioni dei piedi e grande variabilità fenotipica(Jabs et al.1994).
La sindrome di Jackson-Weiss è stata descritta per la prima volta nel 1976 da Jackson e Weiss in una ampia famiglia Amish, nella quale erano affetti 88 individui esaminati di persona e altri 50 di cui si riportava, in modo attendibile, come affetti. Tale patologia è caratterizzata da craniosinostosi (la fusione prematura di una o più suture craniche) con ipoplasia della porzione mediale della faccia, prominenza frontale, e anomalie dei piedi con diverse sindattilie cutanee (fusione di due o più dita) e alluci ingranditi e deviati medialmente in modo variabile. I pollici sono risultati normali in tutti i casi tranne un paziente che presentava fusione delle falangi; solo un individuo aveva anomalie craniofacciali, all'esame clinico e radiografico. Le capacità intellettive sono conservate. La variabilità dei riscontri clinici è così marcata che, ad eccezione della sindrome di Apert, viene riportato l'intero spettro delle acrocefalosindattilie nella famiglia originaria.
Eziologia: la modalità di trasmissione è autosomica dominante con alta penetranza e variabilità fenotipica.
Li et al. (1994) hanno mappato la sindrome di Jackson-Weiss nel cromosoma 10, regione q25-26, nella famiglia originaria; Jabs et al. (1994) hanno evidenziato una mutazione nel fattore di crescita del fibroblasti nel gene del recettore 2 (FGFR2) nella stessa famiglia, con una sostituzione di un'alanina con una glicina in posizione 344 dell'esone 7 del gene FGFR2. Nello stesso esone vengono trovate le mutazioni che causano la sindrome di Crouzon.
Ades et al. (1994) hanno riportato un modello di craniosinostosi dominante come esempio di questa sindrome, tuttavia successivamente hanno mappato il gene nel cromosoma 4 nella regione p16 e hanno rinominato la condizione `craniosinostosi tipo Adelaide'.
Diagnosi: Winter e Reardon (1996) propongono che la designazione della sindrome di Jackson-Weiss sia riservata, per il momento, alle ampie parentele che evidenzino una estrema variabilità intrafamiliare di craniosinostosi comprendenti caratteristiche delle sindromi di Crouzon, Pfeiffer e Apert. Nel frattempo le basi molecolari di questo fenomeno possono essere chiarite e la sindrome di Jackson-Weiss può essere definita da una specifica mutazione FGFR2 (come quella osservata nella famiglia originaria) o forse da specifiche mutazioni nei loci modifier che agiscono su un numero di mutazioni FGFR.
La sindrome di Down, detta anche trisomia 21, è una patologia che colpisce un bambino ogni 700-800 nati circa. La denominazione più nota prende il nome dal medico inglese J. Down, che la descrisse per primo nel 1866. Egli, non avendo a disposizione alcuna tecnica di ricerca genetica, diede alla sindrome il nome di "mongolismo", poiché l'aspetto dei soggetti gli ricordava gli abitanti di quella zona. Oggi questa parola non è più un'indicazione legittima per la sindrome, che è presente ovunque, in tutte le nazioni del mondo, presso tutte le razze umane, ma anche in alcuni mammiferi.
Si tratta di una malattia genetica (ma nel 98% dei casi la sindrome non è ereditaria) in cui il neonato presenta un corredo cromosomico costituito da 47 cromosomi, con la presenza di tre copie del cromosoma 21 invece di due (in basso nell'immagine). Questa patologia causa un ritardo mentale nel soggetto colpito, una diminuita efficienza del sistema immunitario e malformazioni cardiache. La maggiore frequenza di malformazioni nei piccoli malati richiede un'attenzione particolare al loro stato di salute (specialmente per l'apparato cardiocircolatorio, oculistico e gastroenterico). Inoltre questi malati sono maggiormente soggetti, nel corso del tempo, anche ad altre patologie, come la malattia di Alzheimer, l'ipotiroidismo, la leucemia, la celiachia.
Attualmente si ritiene che fattori esterni non influiscano sull'instaurarsi della Sindrome di Down; si è invece constatata una relazione fra età dei genitori e frequenza della patologia. Le madri oltre i 35 anni e i padri oltre i 50 hanno una maggiore possibilità di mettere al mondo figli malati; tuttavia non si è ancora individuata una spiegazione per questa situazione.
Cura e prevenzione - Non esiste al momento una cura per questa patologia, tuttavia le terapie riabilitative hanno consentito, negli ultimi anni, di garantire un notevole aumento dell'aspettativa di vita dei malati. Si è infatti passati da una vita media di 25 anni nel 1983 a una di 49 nel 1997. Recentemente, un gruppo di ricercatori guidati dal dottor Andrea Ballabio (Istituto Telethon di Genetica, Napoli) ha completato la mappatura del cromosoma 21, il responsabile della sindrome. Si spera che questo lavoro porti a una migliore comprensione dei meccanismi alla base di questa patologia. Per il momento, l'unica possibilità esistente è la diagnosi precoce durante la gravidanza; in particolare, il tri-test consente di evidenziare il rischio che il nascituro sia malato. In questo caso si può procedere a un'amniocentesi per confermare la diagnosi.
Di Admin (del 05/06/2009 @ 17:00:27, in Lettera T, visto n. 5544 volte)
Per sindrome del tunnel cubitale, in campo medico, si intende un insieme di manifestazioni che riguardano il nervo ulnare del gomito, provocate da una compressione del nervo o da una trazione dello stesso. Questa patologia colpisce più raramente rispetto alla sindrome del tunnel carpale, localizzata, invece, al polso.
La sindrome del tunnel cubitale si manifesta a seguito di movimenti ripetitivi e anomali dei gomiti, come il continuo appoggiarsi su di essi o continue stimolazioni, come ad esempio eccessive flessioni. Per quanto riguarda le patologie che possono influire su questa sindrome, troviamo la presenza di cisti gangliare e arteriti, ma la genesi può essere anche di tipo traumatico.
I sintomi prevedono parestesia (mancanza di sensibilità), torpore al gomito e dolore diffuso.
Col passare del tempo si evidenziano casi di ipostenia (debolezza muscolare) di diversi muscoli della mano, che ne impediscono il corretto funzionamento: ad esempio diventa difficile la stretta di mano.
Il trattamento della sindrome del tunnel cubitale prevede l'immobilizzazione del gomito tramite l'uso di tutori che vengono utilizzati durante il sonno (vengono bloccati in posizione piegate a 45 gradi), mentre durante la fase di veglia si poggiano i gomiti su superfici soffici come cuscini. Solo occasionalmente, nei casi peggiori, è richiesto un intervento chirurgico di decompressione dei nervi.
Fa parte delle neuropatie da intrappolamento o compressione ed,in particolare,è dovuta alla compressione del nervo mediano quando questo attraversa il tunnel o canale carpale del polso.
È la patologia più frequente della mano e dell’arto superiore;si verifica maggiormente nelle donne in età menopausale.
Ma cos’è il tunnel carpale? È un canale osteofibroso formato dalle ossa del carpo,sulle quali è teso il legamento traverso del carpo;inoltre,lo spazio a disposizione del nervo mediano e limitato dalla presenza nel tunnel anche dei tendini dei flessori e dalle loro guaine.
Le principali CAUSE possono essere di natura occupazionale; in particolare lavori che obbligano a movimenti ripetitivi di flesso-estensione del polso;ciò provoca un aumento di pressione all’interno del tunnel e il ripetuto allungamento di muscoli e tendini che da qui vi passano possono dar luogo ad una infiammazione che riduce ulteriormente le dimensioni del tunnel provocando la compressione del nervo mediano. Quindi a causare la sindrome si combinano fattori anatomici,traumatici(occupazioni particolari),e fattori patologici vari(acromegalia,obesità,artriti,ecc).
Per quanto riguarda i SINTOMI,possiamo dire che la fase iniziale di compressione del nervo,che può essere definita “irritativa” e che può durare anche degli anni,è caratterizzata da disturbi sensitivi aspecifici ed episodici che si verificano soprattutto la notte o al risveglio. Se la compressione non viene adeguatamente trattata evolve;avremo allora un peggioramento della sintomatologia sopradescritta accompagnata da disturbi della sensibilità tattile e da una diminuzione della forza. Il dolore si localizza alle prima tre dita della mano;la pressione,attraverso per esempio un martelletto, sul polso può scatenare il dolore e le parestesie(segno di Tinel). Inoltre tenendo in flessione o estensione forzatamente il polso per circa trenta secondi si provoca formicolio nel territorio del nervo mediano(test di Phalen).
Le cause del perché i sintomi si manifestino prevalentemente la notte e al risveglio sono molteplici:di notte il polso può rimanere a lungo iperflesso o iperesteso; la posizione sdraiata può determinare una ridistribuzione dei liquidi corporei con aumento agli arti superiori e quindi anche nel tunnel carpale sottoposto in questo modo a maggior pressione; il riposo stesso della mano non permette il drenaggio dei liquidi all’interno del tunnel.
DIAGNOSI:quando il paziente riferisce parestesie e/o dolore,spesso irradiato all’avambraccio,prevalentemente notturno o mattutino,la diagnosi di sindrome del tunnel carpale è la più probabile. È quindi importante fare a questo punto un corretto esame obiettivo neurologico(utilizzando i test di Tinel e Phalen sopra descritti) e,successivamente,un esame elettromiografico(EMG) e elettroneurografico(ENG). L’esame ENG viene eseguito con elettrodi di superficie e piccole scosse elettriche e permette di valutare la velocità sensitiva(che è alterata nella sindrome),la velocità motoria ed altri parametri. L’EMG viene eseguito per valutare la gravità della sindrome ed escludere compromissione nervose;viene eseguito con piccoli aghi che registrano l’attività muscolare.
TERAPIA. Prima di tutto è necessario cambiare attività lavorativa ; si possono effettuare delle cure usando ultrasuoni,ionoforesi,laser che possono migliorare i sintomi. Se tutto ciò non porta a dei miglioramenti,si deve ricorrere alla chirurgia. L’intervento può essere eseguito ambulatorialmente,in anestesia locale. Attraverso un’incisione sul palmo della mano si interrompe il legamento traverso del carpo e si provvede a liberare dall’esterno il nervo mediano(neurolisi).
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