Di seguito tutti i lemmi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
La parotite è una malattia infettiva (popolarmente detta orecchioni) molto contagiosa causata da un virus della famiglia dei paramyxovirus. Il contagio interessa generalmente i bambini e gli adolescenti (dai cinque ai quindici anni), ma non è rara l'infezione degli adulti che non hanno avuto la malattia in passato (l'immunità, una volta contratta la malattia, è permanente).
Il virus si propaga nelle gocce di secrezione nasali, mediante gli starnuti e la tosse. L'infezione colpisce le ghiandole salivari, più precisamente le parotidi; esse hanno una forma acinosa e l'aspetto lobato, presentano abbondante infiltrazione adiposa, pesano circa 30 g e si trovano all'esterno del massetere. Le parotidi versano nella bocca la saliva tramite il dotto di Stenone, che emerge nel vestibolo della cavità orale, in corrispondenza del secondo molare superiore. Sono ghiandole attraversate dall'arteria carotide esterna, dai nervi facciale e auricolo temporale. L'infezione provoca il loro ingrossamento e uno spiccato dolore, accompagnati da altri sintomi generici come febbre, tosse, cefalea e vomito. Il periodo d'incubazione varia molto, da un minimo di 5 a un massimo di 35 giorni. La cura è essenzialmente sintomatica, per la riduzione dei sintomi secondari (antipiretici, analgesici e impacchi caldo umidi sulle ghiandole ingrossate), ma prevede anche la somministrazione di immunoglobuline, benché tale misura di profilassi risulti non sempre molto efficace. Esiste inoltre un vaccino triplo antimorbillo-antirosolia-antiparotite (MRPa), somministrato tra il 18° mese e i 6 anni.
Le complicazioni possono essere molto gravi, specie se la parotite colpisce un adulto: la più frequente (un caso su 200) è la meningite parotitica, seguita da altre infiammazioni che colpiscono vari organi, come il pancreas (pancreatite), le ovaie (ooforite) e i testicoli (orchite). Quest'ultima, in rari casi, può portare alla sterilità permanente. Esistono anche gravi complicanze, per fortuna molto rare, che interessano il cervello (meningoencefalite) e il nervo uditivo, con conseguente sordità.
Farmaco antidepressivo appartenente alla famiglia degli SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina). Come gli altri SSRI la sua assunzione genera un aumento della disponibilità sinaptica di tale neurotrasmettitore, che è carente nei soggetti affetti da depressione. Rispetto ad altre molecole della stessa classe terapeutica (fluoxetina, sertralina, ecc.) a parità di dosaggio ha un effetto più potente. Viene comunemente impiegato nel trattamento della depressione, negli attacchi di panico associati o meno ad agorafobia, nel disturbo ossessivo-compulsivo, in casi di fobia sociale e nei disturbi d'ansia. Come gli altri farmaci della sua classe la paroxetina è generalmente preferita agli antidepressivi triciclici per la sua maggiore tollerabilità e la minor presenza di effetti collaterali.
I più comuni farmaci a base di paroxetina sono il Sereupin ed il Paxil ed altre formulazioni generiche, sia in compresse che in gocce.
Molto efficace e ben tollerato anche nell'anziano, va iniziato alla dose di mezza compressa al giorno per 7 giorni, quindi si prosegue con una compressa al giorno per alcuni mesi. L'effetto si manifesta non prima delle due settimane di terapia.
La sospensione di tale farmaco deve a sua volta avvenire gradualmente, cioè riducendo la dose poco per volta, in quanto l'interruzione improvvisa causa sintomi da sospensione che possono essere anche intollerabili.
Estrazione chirurgica del feto attraverso un'apertura praticata nell'utero attraverso l'addome.
È indicato quando il parto non può avvenire o è rischioso che avvenga per via naturale e cioè nei casi di placenta previa, sproporzione tra la testa del feto e la pelvi della madre, tumori pelvici, distacco di placenta, presentazione podalica, nonché in tutte le situazioni in cui si verifica una sofferenza del feto durante il travaglio.
Attualmente la frequenza dei parti cesàrei varia dal 5 al 10% dei parti totali.
I rischi per la madre e il neonato sono bassi; la prognosi per le successive gravidanze è buona.
Si definisce così il parto difficile che, per essere portato a termine, richiede l’intervento dell’ostetrico, che utilizza forcipe e ventosa oppure effettua il cesareo.
Le cause possono essere diverse: difficoltà dell’utero a contrarsi (distocia dinamica) o disturbi dovuti alla dilatazione del canale cervicale (distocia meccanica), una conformazione del bacino che rende difficile la fuoriuscita del bambino oppure anomalie nella presentazione o nella posizione del bimbo o un suo peso eccessivo.
Viene considerata una tecnica di parto dolce, perché permette al piccolo di ‘scivolare’ dal liquido amniotico in cui era immerso nel ventre materno direttamente nell’acqua calda della vasca.
Quando il collo dell’utero ha raggiunto una dilatazione di 3-5 centimetri, la futura mamma si accomoda in un’apposita vasca (ne esistono alcune con un portellone per agevolare l’ingresso e l’uscita) colma di acqua calda.
L’immersione in acqua permette alla mamma di ridurre ansia, paura e dolore. La permanenza in questo elemento, infatti, determina il rilassamento della muscolatura e la maggiore distensione favorisce la produzione spontanea di endorfine, gli ormoni del piacere, che si contrappongono all’adrenalina prodotta in situazioni di ansia e paura. L’andamento del travaglio viene monitorato, con apparecchi che funzionano sott’acqua, fino al momento della nascita. Grazie al diving reflex (riflesso d’immersione), il neonato inizia a respirare soltanto quando entra in contatto con l’aria.
È una tecnica consigliata a tutte le mamme, soprattutto a quelle al primo parto, perché riduce di circa un’ora e mezza i tempi della fase dilatante. È invece controindicato in caso di sospetta sofferenza fetale: in presenza di liquido amniotico tinto e quando il tracciato cardiotocografico (che registra il battito cardiaco del bimbo) rileva una patologia. Niente nascita in acqua anche per chi aspetta gemelli, se il piccolo è podalico (si presenta al canale del parto con i piedi o il sederino) e nei parti prematuri. Non possono ricorrervi, inoltre, le mamme che hanno avuto una gravidanza a rischio.
Si tratta di un parto psicoprofilattico, eseguito in condizioni psicofisiche ottimali, tanto da ridurre sensibilmente il dolore, specialmente durante il travaglio. Il parto è preceduto da una particolare preparazione psicoprofilattica della gestante con corsi in cui si insegnano tecniche basilari per il superamento del dolore (training autogeno), si forniscono le principali nozioni sulla fisiologia del parto, si insegnano esercizi fisici e respiratori e soprattutto la tecnica del rilassamento neuromuscolare. Questo tipo di preparazione rimuove le cause di natura psicologica capaci di provocare ansia, paura e maggior tensione nella gestante, spezzando il circolo vizioso paura-tensione-dolore (la paura genera tensione muscolare e spasmi che generano dolore che aumenta la paura). Anche il personale che avrà rapporti con la partoriente viene educato ad assecondarla maggiormente. Le camere per il travaglio vengono preparate in modo adeguato, con luci soffuse, e in talune cliniche il travaglio viene alleviato stando in acqua.
L'induzione del travaglio si attua quando si è superata da due settimane la data prevista per il parto o se la salute di mamma e bambino sono a rischio come nel caso di diabete, gestosi, nefropatie gravi, isoimmunizzazione, insufficienza placentare.
Altre situazioni che prevedono l'induzione sono una leggera sofferenza fetale, ovvero quando il battito cardiaco presenta alcune anomalie ma la situazione generale è ancora buona, e la rottura naturale della acque in assenza di contrazioni.
Il processo dell'induzione è molto lento e possono volerci fino a due o tre giorni perché il travaglio riesca finalmente a partire.
Si possono impiegare metodi farmacologici, in particolare l'infusione endovenosa di ossitocina (eventualmente associata a parasimpaticolitici come l'atropina che favoriscono un miglior rilasciamento della cervice uterina) o la somministrazione di prostaglandine (PGF 2alfa) per via vaginale, e metodi chirurgici, tra i quali il più usato è l'amnioressi, cioè l'incisione delle membrane amniocoriali del polo inferiore quando il collo uterino abbia raggiunto almeno 2-3 cm di dilatazione. L'uscita del liquido fa scivolare la testa del bambino verso la vagina e la pressione del cranio del piccolo aiuta l'utero a contrarsi.
L'induzione passo per passo invece consiste nella stimolazione manuale delle membrane
In assenza di complicazioni o urgenze, il primo stadio dell'induzione è la stimolazione delle membrane effettuata solitamente dalle ostetriche. Viene inserito un dito a livello del collo dell'utero e vengono massaggiate le membrane che contengono il liquido amniotico. In questo modo viene stimolata la produzione di prostaglandine naturali.
L'induzione non ha alcun effetto sul feto se non quello di irritarlo con la continua sollecitazione delle membrane. Durante tutta l'operazione il bambino viene continuamente monitorato ed il suo battito cardiaco tenuto sotto stretto controllo.
Il travaglio indotto è solitamente molto doloroso in quanto le contrazioni non sono spontanee ma provocate meccanicamente o farmacologicamente. Quando il travaglio ha inizio non è in crescendo come nei travagli naturali ma le contrazioni sono da subito ravvicinate e provocano un forte dolore. E' quindi consigliabile, dove possibile, scegliere di avvalersi dell'anestesia epidurale.
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