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Di seguito tutti i lemmi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di riccardo (del 14/03/2014 @ 15:43:21, in Lettera E, visto n. 1413 volte)
Tumore che predne origine dalle cellule endoteliali. Si descrivono endoteliomi: 1) intravascolari, che si sviluppano dalla tunica endoteliale dei vasi sanguigni e linfatici (emangioendotelioma e linfangioendotelioma), caratterizzati da proliferazione cellulare rivolta verso il lume del vaso, che si occlude in breve tempo; 2) meningei (vedi meningioma), localizzati a livello del cervello o delle meningi, che si sviluppa a spese dell'aracnoide; 3) ossei; 4) pleurici (vedi mesotelioma); 5) peritoneali; 6) pericardici; 7) delle sierose articolari.
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Di riccardo (del 14/03/2014 @ 15:38:55, in Lettera E, visto n. 1073 volte)
Tessuto epiteliale formato da cellule piatte poligonali, unite tra loro in una membrana sottile che riveste la superficie interna di canali, cavità e spazi vuoti (cuore, vasi, articolazioni) dove si trovano o scorrono liquidi organici (sangue, linfa ecc.), impedendone la coagulazione. Le cellule che formano l'endotelio sono dette cellule endoteliali e quelle in contatto diretto con il sangue sono chiamate cellule endoteliali vascolari, mentre quelle in contatto diretto con linfa sono conosciute come cellule endoteliali linfatiche. Le cellule endoteliali vascolari sono situate nell'intero sistema circolatorio, dal cuore al più piccolo dei capillari. Queste cellule hanno funzioni molto diverse e di primaria importanza per la biologia vascolare e il mantenimento dell'omeostasi. Tali funzioni, oltre a quella di dare un tono muscolare al vaso e creare una barriera, comprendono anche la filtrazione dei fluidi, l'emostasi, il reclutamento dei neutrofili e il passaggio di ormoni.In alcuni organi, esistono notevoli differenze nelle cellule endoteliali che sono chiamate a funzioni di filtraggio speciali. Esempi di tali strutture possono trovarsi nei glomeruli renali e nella barriera emato-encefalica.
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Di riccardo (del 14/03/2014 @ 15:22:40, in Lettera E, visto n. 1237 volte)
Tessuto osseo. Il tessuto osseo è un tessuto biologico che presenta una notevole durezza e resistenza. È un tipo particolare di tessuto connettivo di sostegno, composto da cellule disperse in un'abbondante matrice extracellulare, formata da fibre e da sostanza amorfa di origine glicoproteica; questa presenta inoltre la particolarità di essere calcificata, ossia formata anche da minerali. È un tipo di tessuto connettivo che si differenzia da questo per la quantità di materia inorganica e, quindi, per le caratteristiche di durezza e resistenza meccanica. Nell'osso viene distinta una parte esterna compatta e una interna costituita da un tessuto spugnoso, dalla caratteristica struttura trabecolare, leggera ma in grado di resistere a tensioni molto elevate. È sbagliato considerare l'osso come una struttura rigida di semplice sostegno meccanico: le cellule sono infatti soggette a un continuo rimaneggiamento e rinnovamento.Il tessuto osseo forma le ossa, che vanno a costituire lo scheletro dei vertebrati, con una funzione di sostegno del corpo, di protezione degli organi vitali (come nel caso della cassa toracica) e garantendo, insieme ai muscoli, il movimento. Inoltre, il tessuto osseo costituisce senza dubbio una riserva di calcio da cui l'organismo attinge in particolari momenti di bisogno attraverso una coordinazione ormonale (basti pensare al PTH o ormone paratiroideo). Nelle parti centrali delle ossa lunghe (le diafisi) le ossa ospitano il midollo osseo rosso, tessuto emopoietico composto da cellule staminali che subiscono mitosi: per evitare che tale tessuto subisca variazioni di temperatura che possano influenzare la mitosi stessa, esso viene ospitato nella porzione più interna delle diafisi dell'osso.
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Di riccardo (del 14/03/2014 @ 15:06:08, in Lettera E, visto n. 1091 volte)
Tecnica diagnostica e terapeutica che consente, attraverso l'utilizzo di specifiche apparecchiature dette endoscopi, di esplorare a livello visivo l'interno di alcuni organi e cavità del corpo umano, con il fine di verificare l'eventuale presenza di alterazioni morbose e di praticare piccoli interventi chirurgici (asportazione di materiale patologico, cauterizzazioni, biopsie ecc.). Gli endoscopi in uso possono essere suddivisi in due principali categorie: endoscopi rigidi ed endoscopi a fibre ottiche, perciò flessibili. I primi sono formati da un tubo metallico che contiene un dispositivo per l'illuminazione (collegato a una sorgente di luce fredda, che non riscalda i tessuti e perciò non li danneggia), un sistema ottico (prismi e lenti) tale da garantire anche una parziale visione laterale e una via utilizzabile per raggiungere la mucosa con vari strumenti (pinze bioptiche, elettrodi cauterizzanti ecc.); gli endoscopi rigidi, pur consentendo un'ottima visione diretta, sono impiegati in modo limitato per la brevità del tratto che può essere esplorato e per il notevole fastidio che arrecano al paziente. I più moderni endoscopi a fibre ottiche, flessibili e di minor calibro, e quindi meglio tollerati dal paziente, permettono un'esplorazione molto più estesa (quelli usati per la colonscopia, per esempio, raggiungono i 150 cm di lunghezza e possono percorrere tutto il colon, fino al cieco). Caratteristica fondamentale di questo tipo di endoscopio, che ne fa uno strumento insostituibile, è che può essere dotato, all'estremità, dell'obiettivo miniaturizzato di una telecamera che lungo le fibre ottiche trasmette l'immagine nitidissima, a colori, del campo esplorato, che l'operatore e gli assistenti possono vedere in diretta su un monitor. La testa dell'endoscopio possiede anche una lente che proietta la luce per illuminare il campo, oltre ai fori d'uscita dei condotti che consentono il passaggio di aria (per distendere la cavità esplorata), di liquidi di lavaggio o medicinali e degli strumenti chirurgici (pinze, forbici, anse diatermiche ecc.) azionati, mediante cavetti d'acciaio, dall'operatore. Gli apparecchi endoscopici sono denominati in modo diverso a seconda delle sedi nelle quali vengono utilizzati: gastroscopio per la visione di esofago, stomaco e duodeno; retto-sigmoidoscopio e colonscopio per l'esplorazione del grosso intestino a diversi livelli; broncoscopio per lo studio dell'albero tracheobronchiale; cistoscopio per l'esame della vescica; amnioscopio per valutare lo stato del liquido amniotico in gravidanza; laparoscopio per la visione degli organi della cavità addominale; colposcopio per la cavità uterina; artroscopio per l'interno delle cavità articolari; otoscopio per visualizzare il canale uditivo esterno e la membrana timpanica; laringoscopio, per visualizzare il cavo laringeo.Dal punto di vista clinico l'endoscopìa è una tecnica diagnostica molto importante, poiché consente sia di avere una visione diretta dell'organo da esplorare (e delle sue eventuali lesioni), sia di prelevare, con appositi strumenti, frammenti di tessuto da sottoporre a esame istologico, con possibilità di asportazione mirata sulla lesione da studiare. Durante l'esame è inoltre possibile effettuare piccole manovre chirurgiche, quali resezione di piccole neoformazioni vegetanti (polipi), tumori benigni (adenomi) o maligni (adenocarcinomi); elettrocoagulazione di zone ulcerate o erose; cauterizzazione di focolai emorragici (come in caso, per esempio, di sanguinamento da varici esofagee); rimozione di calcoli del coledoco, previa dilatazione della papilla di Vater; sistemazione di protesi nelle vie biliari e nel tubo digerente, nel caso di tumori inoperabili a evoluzione stenosante; frantumazione e asportazione di calcoli della vescica; resezione di papillomi e polipi vescicali, ma anche dell'adenoma della prostata; legatura e altri trattamenti ambulatoriali delle emorroidi. L'endoscopio, infine, può essere impiegato per portare sulla superficie da trattare un raggio laser, in caso di lesioni tumorali o sanguinanti nelle quali venga indicato l'uso di tale tecnica. L'espandersi delle indicazioni chirurgiche trattabili per via endoscopica ha dato vita a una nuova branca della medicina chiamata endoscopìa interventistica.
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Di riccardo (del 14/03/2014 @ 14:25:56, in Lettera E, visto n. 1037 volte)
Sostanze oppioidi endogene, che presentano struttura polipeptidica, dotate di proprietà biologiche simili a quelle della morfina e delle sostanze oppiacee. Queste sostanze sono state scoperte studiando il meccanismo d'azione biologica della morfina e degli alcaloidi simili. Questa esplica i suoi effetti legandosi a specifici recettori presenti nel sistema nervoso centrale, in concentrazioni molto elevate proprio nelle aree cerebrali deputate alla percezione della sensibilità dolorifica. A partire da ciò è stata dimostrata la presenza di sostanze endogene capaci di esplicare un analogo effetto biologico,regolando in condizioni fisiologiche la trasmissione e la percezione della sensibilità dolorifica, legandosi ai recettori per gli oppiacei. Ad oggi si conoscono quattro distinte classi di endorfine, dette rispettivamente "alfa", "beta", "gamma" e "delta". Al sistema delle endorfine appartengono anche due sostanze pentapeptidiche originariamente estratte dal tessuto nervoso e chiamate "encefaline". Le cellule deputate alla produzione delle endorfine sono sparse in diverse parti del sistema nervoso centrale; queste sostanze sono inoltre presenti nell'ipofisi (lobo anteriore e lobo posteriore), nelle ghiandole surrenali, nelle ghiandole salivari, nel tratto gastrointestinale (sia nei gangli del tessuto nervoso sia come cellule secretorie). Il significato biologico di queste sostanze è molto complesso e a esse viene attribuita una funzione intermedia tra quella degli ormoni e quella svolta dai neurotrasmettitori, le sostanze che garantiscono la trasmissione dei segnali nervosi. Le endorfine sembrano avere un ruolo notevole nell'insorgenza dell'analgesia non farmacologica, cioè quella che si può ottenere attraverso tecniche come ad esempio l'agopuntura, l'ipnosi, la stimolazione elettrica, e dell'analgesia da placebo: in tutte queste condizioni può essere osservato un aumento dell'attività cerebrale beta-endorfinica ed encefalino-simile. L'attività delle endorfine può inoltre intervenire nei meccanismi che portano all'insorgenza dei fenomeni di dipendenza e di assuefazione farmacologica e nella crisi da astinenza. Altri effetti biologici ottenuti dalle endorfine interessano la termoregolazione, la produzione ormonale, la reazione allo stress, il controllo dell'appetito, la funzionalità del tratto gastrointestinale (motilità, secrezione digestiva, secrezione pancreatica).
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Di riccardo (del 14/03/2014 @ 14:23:50, in Lettera E, visto n. 1054 volte)
Forma di radioterapia che consiste nell'introduzione di materiali radioattivi negli organi interni.
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Di riccardo (del 22/04/2014 @ 14:47:41, in Lettera E, visto n. 990 volte)
Intervento endoscopico di inserimento di uno stent nell’aorta addominale in caso di aneurisma compromettente la funzionalità vascolare e il corretto afflusso del sangue agli organi. L'intervento salvaguarda le funzioni dell’aorta che in caso di aneurisma può causare emorragie interne e affaticamento degli organi. La procedura EVAR affidandosi alla tecnologia endoscopica consente di evitare l’operazione ad addome aperto riducendo i rischi collaterali dell’operazione. Non è un intervento consigliato a tutti, perché molto dipende dalla posizione dell’aneurisma all’interno dell’aorta e allo stato di salute del paziente. I tempi di recupero rispetto ad un intervento chirurgico tradizionale con apertura dell’addome sono minori: nel giro di una settimana si può essere dimessi dall’ospedale e tra le 4 e le 6 settimane si può riprendere una vita normale.
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