Di seguito tutti i lemmi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Somministrazione terapeutica di ossigeno a pressione superiore a quella atmosferica. Scopo è di aumentare la pressione parziale dell'ossigeno (aumentando la pressione assoluta del gas inalato) per facilitarne il passaggio nel sangue e nei globuli rossi. A un regime pressorio di 3 atmosfere, la quantità di ossigeno presente in forma disciolta nel plasma (non legato quindi all'emoglobina) corrisponde a circa 20 volte quella che si ha in condizioni di pressione normale. La pratica dell'ossigenoterapìa iperbàrica richiede apparecchiature sofisticate e costose, disponibili solo presso appositi centri: si tratta di speciali camere a tenuta stagna, all'interno delle quali la pressione viene aumentata per mezzo di compressori fino a raggiungere i valori desiderati (analogamente a quanto avviene nelle camere per la decompressione). Attualmente le principali indicazioni per l'ossigenoterapìa iperbàrica sono costituite dall'intossicazione da monossido di carbonio, dalle necrosi ossee e dall'osteomielite, dalla gangrena gassosa (da Clostridium perfringens), dalle lesioni nervose e midollari (traumi, polinevriti ecc.).
Terapia consistente nella somministrazione di ossigeno, generalmente miscelato con aria, in circostanze patologiche che impediscono la normale ossigenazione del sangue e dei tessuti. Scopo dell'ossigenoterapìa è di aumentare la concentrazione dell'ossigeno, e quindi la sua tensione parziale negli alveoli polmonari, in modo da favorirne il passaggio dallo spazio alveolare al sangue. Le indicazioni principali sono gli stati di ipossia (cioè di riduzione della pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso) dovuti a insufficienza respiratoria acuta o cronica per alterazioni dell'epitelio alveolare o della membrana alveolo-capillare (per esempio, polmoniti, esposizione ad agenti chimici asfissianti, BPCO, fibrosi polmonare), alterazioni della disponibilità dell'emoglobina per il trasporto dell'ossigeno (per esempio, avvelenamento da ossido di carbonio o da anilina), o, infine, a insufficienza circolatoria acuta, shock, scompenso cardiaco. La somministrazione terapeutica dell'ossigeno viene effettuata con modalità diverse. Comunemente si utilizzano cateteri nasali, inseriti attraverso le narici nel cavo nasofaringeo, e sostenuti da montature simili a quelle degli occhiali, da appoggiarsi alle orecchie, oppure maschere facciali corredate di un sistema di valvole che permettono l'allontanamento dell'anidride carbonica espirata e l'eventuale diluizione dell'ossigeno, o infine "tende a ossigeno", cioè apparecchiature portatili fatte con materiale trasparente e leggero, che isolano il paziente dall'aria circostante. Per la somministrazione di ossigeno ai neonati e ai prematuri si ricorre alle incubatrici, all'interno delle quali, oltre a mantenere una costante temperatura e una giusta umidità, è possibile arricchire d'ossigeno l'aria per soddisfare il fabbisogno del piccolo paziente. Altre apparecchiature che consentono l'erogazione dell'ossigeno sono gli apparecchi da anestesia (per la respirazione artificiale) e i cosiddetti resuscitatori usati per soccorrere i pazienti in situazioni d'emergenza.
Precauzioni
È necessario ricordare che l'ossigeno, come tutti gli altri farmaci, è potenzialmente tossico e possiede effetti secondari indesiderati. In particolare è necessario che durante l'ossigenoterapìa siano sempre strettamente controllati alcuni parametri, come la pressione di erogazione, la concentrazione nella miscela inspirata (non oltre il 60%), la temperatura, l'umidificazione, la durata della somministrazione. L'iperossia conseguente alla somministrazione terapeutica di ossigeno può causare effetti negativi sul sistema nervoso centrale (sonnolenza, stupore, ipereccitabilità), sulla respirazione (depressione respiratoria fino all'apnea, irritazione delle vie respiratorie), sul circolo (bradicardia e ipotensione), sull'organo della vista (in particolare nel neonato immaturo si possono avere casi di fibroplasia retrolenticolare), sui sistemi enzimatici (blocco degli stessi per inibizione degli enzimi respiratori con accumulo di prodotti tossici). Indipendentemente dalla tecnica di somministrazione e dal tipo di ossigeno utilizzato (al domicilio si usa l'ossigeno gassoso per i trattamenti di breve durata e l'ossigeno liquido nei casi richiedenti un'ossigenoterapia a lungo termine) il gas inspirato va umidificato facendolo passare attraverso un sifone d'acqua.
Farmaco antibiotico appartenente alle tetracicline a largo spettro d'azione. Presenta indicazioni, effetti collaterali e precauzioni d'uso uguali a quelle delle tetracicline.
Farmaci in grado di provocare la contrazione della muscolatura uterina. Sono utilizzati per accelerare il parto quando vi siano problemi fetali o materni, e per controllare emorragie post-parto. La sostanza che fisiologicamente presenta questa azione è l'ossitocina, impiegata in taluni casi per infusione endovenosa e sotto stretto controllo medico. Impiegata è anche la metilergonovina, un derivato della segale cornuta, che ha azione simile all'ossitocina, ma più prolungata: viene usata per promuovere l'involuzione dell'utero durante il puerperio e per evitare emorragie uterine; le contrazioni dell'utero, infatti, restringono i vasi sanguigni, facilitano l'emostasi e ostacolano l'emorragia.
Ormone, prodotto dai nuclei ipotalamici e secreto dalla neuroipofisi, la cui azione principale è quella di stimolo delle cellule dei dotti mammari. In tal modo l'ossitocina provoca, nelle mammelle in stato di allattamento, una contrazione di queste cellule e l'eiezione del latte. L'ossitocina stimola anche la contrazione della muscolatura liscia dell'utero. Nell'ultimo periodo della gravidanza la responsività dell'utero all'ossitocina aumenta notevolmente e l'ormone esercita un ruolo importante nell'inizio e nel mantenimento del travaglio di parto.
Farmaco broncodilatatore anticolinergico usato nella terapia della bronchite cronica ostruttiva. Si utilizza per spray o in nebula in 2-3 somministrazioni al dì.
Infestazione intestinale da parte del verme Enterobius vermicularis, od ossiuro. È l'infestazione da elminti più frequente, presente in tutti i climi. Il contagio avviene mediante l'ingestione di uova provenienti dal terreno o da oggetti contaminati. I vermi si sviluppano nell'intestino cieco e nell'appendice; da questa sede, durante la notte, la femmina migra fino al canale anale, dove deposita le uova sulla cute perianale e muore. Le uova depositate sulla cute determinano notevole prurito perianale o vulvare, sintomo principale della malattia. Frequentemente si verifica autocontagio, per trasmissione fecale-orale delle uova con conseguente reinfestazione. La diagnosi viene effettuata mediante la ricerca delle uova nella regione perianale con una striscia di nastro adesivo, che viene poi messa con il lato adesivo su un vetrino e analizzata al microscopio. La terapia con pirantel pomoato (che provoca un blocco neuro-muscolare degli elminti con paralisi ed espulsione), pervinio pomoato o mebendazolo debella nella maggior parte dei casi la malattia.
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