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Psichiatra Firenze
ANORESSIA E BULIMIA: I DISTURBI PSICOPATOLOGICI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Aspetti anatomo-fisiologici della fame e della sazietà.
Perché mangiamo? Perché abbiamo fame! è la risposta immediata, oltremodo ovvia, degna degli scudieri del cavaliere di La Palice, “che se non fosse morto, sarebbe ancora vivo”.
In realtà le ragioni che ci portano a mangiare sono numerose e tra loro interconnesse: fattori di tipo genetico, biologico, psicologico, familiare e sociale concorrono a creare le nostre abitudini alimentari e di vita, tanto che la alimentazione rappresenta un comportamento complesso all’interno di una rete di motivazioni.
Nel 1940 Hertherington e Ranson descrivono un “doppio centro” della fame e della sazietà all’interno dell’ipotalamo: due zone circoscritte, scoperte tramite studi di lesione su animali. Sperimentalmente piccole lesioni anatomiche a livello dell’ ipotalamo laterale provocavano grave diminuzione del desiderio di cibo, anoressia e deperimento. In maniera speculare, provocando lesioni a livello dell’ipotalamo mediale, si verificava la comparsa di alimentazione eccessiva e obesità. Si è quindi ipotizzato che nell’ipotalamo laterale risiedesse il centro della fame e nell’ipotalamo ventromediale il centro della sazietà.
Dall’ipotesi del “doppio centro” giungiamo oggi all’attuale modello “dinamico” anatomofisiologico: le sensazioni di fame e sazietà si generano e si modulano all’interno di un sistema omeostatico complesso organizzato a rete, con numerosi nodi di interscambio e altrettanti meccanismi di autoregolazione.
La “centralina” di tale network, fondamentale ai fini della traduzione dei segnali periferici e loro elaborazione e la integrazione di risposte omeostatiche è la area ièpotalamica : la moderna neurobiologia considera l’ipotalamo l’area privilegiata ai fini della regolazione dei comportamenti motivati, quindi, tra i comportamenti motivati primari, la regolazione del comportamento alimentare. La natura ci ha dotato, inoltre, di un “programma” per resistere con grande efficienza alla carestiapiù che alla iperalimentazione: gli individui in grado di ripristinare, accumulare e conservare con facilità le riserve energetiche sono dotati di un adattamento decisamente migliore in termini di evoluzione per la sopravvivenza. L’ipotesi secondo la quale il Sistema Nervoso Centrale tiene sotto controllo la quantità di grasso corporeo e agisce per conservare un giusto livello di riserve energetiche viene definita “ipotesi lipostatica” descritta da Kennedy nel 1953.
Dati sperimentali successivi su topi geneticamente obesi ob/ob, carenti di una proteina non identificata, suggeriscono l’ipotesi di una comunicazione omeostatica tra il SNC e tessuto adiposo.
Friedmann e Halaas nel 1998 identificano la proteina sintetizzata dal gene ob: è l’ormone leptina ( dal greco “leptos”, sottile) secreto dalle cellule adipose e in grado di regolare a feedback negativo la massa grassa corporea agendo direttamente sui neuroni dell’ipotalamo. In sostanza, la leptina è il “messaggero” che informa il nostro SNC della presenza di adeguate riserve energetiche di grasso e che, di conseguenza, innesca una risposta di inibizione dell’alimentazione.
La leptina circolante, secreta dagli adipociti, innesca tramite i propri recettori sul niclea arcuato dell’ipotalamo, un meccanismo omeostatico a feedback negativo a cui partecipano anche vari altri peptidi ipotalamici, alcuni ad azione anoressizzante che inibiscono la ricerca di cibo (ormone alfa-melanocita-stimolante o MSH; trascritto e regolato dalla anfetamina e cocaina, CART); altri di tipo oressigeno, che stimolano la ricerca e l’assunzione di cibo (neuropeptide Y, NPY; peptide associato all’Argouti, AgRP).
Analizzando la complessità e l’efficienza dei meccanismi di regolamentazione alimentare si capisce quanto sia ingrato il compito del dietologo: pensare di ridurre la propria massa grassa tramite il solo atto volontario del “mangiar meno” rappresenta poco più che una illusione. Tale atto viene interpretato dall’organismo come uno stato di carestia parziale e quindi l’organismo difende le proprie riserve di grasso e cerca in ogni modo di ricostituirle.
A complicare ulteriormente la situazione vi sono le risposte multiple che l’organismo mette in atto per difendersi dalle carenze di energia. In effetti, avalle del nucleo arcuato dell’ipotalamo, i peptici anoressizzanti e oressigeni innescano una risposta integrata a tre livelli:
1° livello umorale: attraverso i neuroni ipotalamici del nucleo paraventricolare, si ha una secrezione di TSH e ACTH e di conseguenza una modificazione della attività metabolica di base. In breve: meno mangiamo e più il metabolismo si rallenta per ridurre le perdite energetiche.
2° livello attraverso i neuroni pregangliari del midollo spinale, con aumento dell’attività orto e para-simpatica e conseguente ulteriore modificazione del metabolismo. Ad esempio, se mangiamo poco, aumenta l’attività viscerale parasimpatica deputata alla assimilazione degli alimenti.
3° livello motorio somatico, attraverso l’area ipotalamica laterale , con proiezioni diffuse a livello corticale e conseguente aumento o diminuzione dei comportamenti motivati coscienti per la ricerca del cibo.
Quindi, in caso di scarse riserve energetiche, non solo risparmiamo energie con i meccanismi 1° e 2°, ma siamo biologicamente spinti a ricercare e assumere più cibo!
Il livello più alto di tipo motorio somatico è fondamentale ai fini della programmazione dei comportamenti alimentari motivati. E’ da sottolineare l’importanza dell’area ipotalamica laterale all’interno della quale sono state identificate due ulteriori sostanze aressigene: l’MCH ( ormone melanina-concentratore) e l’oressina. Dati sperimentali evidenziano come la stimolazione elettrica dell’ipotalamo laterale e l’iniezione intratecale di MCH evocano la stessa risposta: una stimolazione di comportamenti volti alla ricerca di cibo anche in animali sazi.
Di Admin (del 09/01/2012 @ 14:37:29, in Lettera A, visto n. 1460 volte)
Perdita transitoria o permanente, congenita o acquisita, unilaterale o bilaterale, della sensibilità olfattiva. Può essere causata da trauma cranico, dal Morbo di Parkinson, dal Morbo di Alzheimer o da alcune neoplasie cerebrali. L’anosmia può causare, oltre alla perdita dell’olfatto, l’abolizione della maggior parte delle sensazioni gustative.
La terapia si differenzia in rapporto ai fattori causali. Risultati efficaci si ottengono, dopo un trattamento medico o chirurgico, nelle forme dovute ad alterazioni delle cavità nasali, invece, si hanno scarsi risultati nelle forme dovute a lesioni irreversibili della mucosa olfattiva, dei nervi e dei centri nervosi olfattivi.
Paura vaga e persistente di pericoli imminenti, a volte solo immaginati, può essere anche una sensazione di angoscia senza oggetto definito.
Può avere intensità differente fino ad arrivare a rendere molto complicata la vita quotidiana di chi ne soffre.
Un antigene è una molecola riconosciuta come estranea o potenzialmente pericolosa dal sistema immunitario di un organismo e in grado di indurre una reazione immunitaria specifica, che si manifesta con l'attivazione di particolari cellule, i linfociti T, e/o con la produzione di anticorpi.
Gli antigeni possono essere classificati in endogeni o esogeni, a seconda che abbiano origine autoctone o estranee all'organismo. Questi ultimi penetrano nel corpo sotto forma di batteri, virus, sostanze chimiche, pollini ecc. e sono fagocitati (mangiati e digeriti) da apposite cellule (macrofagi, monociti e granulociti neutrofili).
Questo tipo di riconoscimento permette la prevenzione dell'insorgenza di malattie quando veniamo in contatto con microrganismi patogeni, poiché ne provoca l'eliminazione prima che questi possano moltiplicarsi in modo significativo e dare danno.
È però un riconoscimento che necessita di un contatto precedente con il microrganismo in questione, che può dare malattia, in seguito l'organismo conserverà la memoria dell'infezione e sarà in grado di proteggersi da successive reinfezioni, come nel caso delle malattie infettive dei bambini. Il primo contatto, che determina l'instaurarsi dell'immunità, può però avvenire anche in maniera artificiale, attraverso i vaccini che hanno proprio il compito di esporre il sistema immunitario ad antigeni tipici di alcuni patogeni senza indurre la malattia.
Normalmente il sistema immunitario non permette che vengano sintetizzati anticorpi contro molecole proprie (self); questo controllo è poco efficace nelle malattie autoimmuni, dove si instaurano reazioni immunitarie dirette contro cellule dell'organismo, riconosciute ed identificate come se fossero agenti esterni pericolosi.
Di solito gli antigeni sono di natura proteica o polisaccaridica, ma anche elementi più semplici (metalli, frammenti di DNA ecc.) possono divenire antigenici ed immunogenici combinandosi con le proteine proprie dell'organismo e modificandole.
Gli antinfiammatori si suddividono in due categorie: non steroidei (Fans, farmaci antinfiammatori non steroidei, il più noto dei quali è l'aspirina) e steroidei (i cortisonici). L'uso degli antinfiammatori è stato limitato sin dall'origine dai problemi gastrici che il loro uso comportava, per esempio un rischio di ulcera gastrica aumentato di dieci volte ca. Infatti i Fans tradizionali bloccano la produzione di prostaglandine, responsabili del dolore (quindi hanno effetto analgesico) e dell'infiammazione, inibendo la cicloossigenasi, l'enzima che controlla la produzione di prostaglandine. In tal modo bloccano anche le funzioni positive delle prostaglandine, per esempio il controllo della produzione del muco gastrico che protegge lo stomaco. Dalla scoperta di P. Needleman che esistono due cicloossigenasi (1, o Cox1, e 2, o Cox2) e che solo la seconda è responsabile dei processi infiammatori (mentre la prima è quella che controlla gli aspetti positivi delle prostaglandine, come la secrezione del muco gastrico) è nata una seconda famiglia di Fans (celecoxib, rofecoxib), meno gastrolesivi. I nuovi prodotti (identificati con nomi commerciali come Celebrex, Artilog e Solexa) sono mutuabili attualmente solo per casi cronici; per l'acquisto è comunque necessaria la ricetta medica. In genere hanno costi più alti e, dopo qualche anno di impiego, si è rilevato che i minori effetti collaterali sono controbilanciati da una minore efficacia. Negli USA (2002) è stata scoperta anche una terza variante dell'enzima Cox (Cox3) coinvolta nella genesi del dolore e della febbre. La scoperta spiega soprattutto perché il paracetamolo non ha funzione antinfiammatoria, ma è ancora prematuro pensare che possa dare origine a una terza generazione di farmaci.
L'uso - Trascurando l'azione antipiretica (posseduta da aspirina, nimesulide, piroxicam, ketoprofene), gli antinfiammatori vengono normalmente assunti per alleviare il dolore (cefalee, dolori mestruali, mal di denti, mal di schiena ecc.) o per contrastare infiammazioni (muscoli, tendini, malattie reumatiche ecc.). È da rilevare che alcuni farmaci come il paracetamolo che hanno azione antipiretica non hanno nessuna azione antinfiammatoria. Le controindicazioni riguardano le patologie gastriche, l'insufficienza renale o epatica, la gravidanza, l'allattamento e le allergie individuali.
L'abuso - Se gli antinfiammatori sono da considerare in occasione di patologie acute, il loro impiego in patologie croniche deve essere attentamente valutato. È veramente ottimistico pensare di risolvere un mal di schiena con pesanti assunzioni di antinfiammatori. Poiché hanno anche un effetto antidolorifico, possono mascherare il dolore illudendo di un'improbabile guarigione. Poiché sono farmaci di automedicazione, è buona norma usare gli antinfiammatori solo per qualche giorno, poi sospenderli e verificare il reale effetto (cioè il miglioramento). Alcuni medici sostengono che tale periodo è troppo limitato, ma se una patologia richiede una somministrazione di antinfiammatori per 20 o più giorni (ammesso che il paziente la tolleri), ha una gravità tale che non è possibile un'automedicazione, essendo nettamente preferibile il ricorso a un medico che, fra l'altro, può prendere in considerazione altre forme di cura.
La scelta - Oltre il 60% dei soggetti risponde alla terapia con antinfiammatori, ma la risposta è individuale nei confronti dei singoli farmaci. Nella scelta dell'antinfiammatorio si deve considerare il principio attivo (non il nome commerciale!) e il suo dosaggio. Poiché il problema maggiore è la gastrolesività, occorre tener conto non solo dei vantaggi, ma anche delle controindicazioni.
Gli antiossidanti sono sostanze chimiche che rallentano o prevengono l'ossidazione di altre sostanze. Si ha ossidazione quando per via di una reazione chimica si trasferiscono elettroni da una sostanza a un ossidante. Durante le reazioni di ossidazione si possono produrre i radicali liberi, che a loro volta danno vita a una reazione a catena che danneggia la cellula. Gli antiossidanti intervengono sui radicali intermedi.
Lo stress ossidativo è elemento cruciale in molte patologie, e per questo motivo l'uso degli antiossidanti in farmacologia viene costantemente analizzato in ricerche mediche di vario genere, con particolare riferimento a ictus e malattie neurodegenerative. Gli antiossidanti sono utilizzati spesso nella speranza di mantenere il benessere fisico e prevenire patologie cardiovascolari e tumori. In realtà, i risultati delle ricerche sono contrastanti e non vi è al momento un accordo in seno alla comunità scientifica sui vantaggi o meno del consumo di antiossidanti, un utilizzo eccessivo dei quali peraltro può risultare anche dannoso.
Gli antistaminici sono farmaci utilizzati in diverse branche della medicina, in grado di inibire in maniera più o meno selettiva i recettori per l'istamina.
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