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Di seguito tutti i lemmi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di salute (del 06/10/2007 @ 13:07:21, in Lettera M, visto n. 1505 volte)
La marmellata di frutta è una valida tecnica di conservazione alimentare di antichissima data. Utilizzata dalla civiltà contadina per far fronte all’enorme disponibilità di frutta in corrispondenza della maturazione sugli alberi, nella civiltà industriale la pratica di confezionare marmellate in casa non è così comune come una volta. Le marmellate industriali infatti sono in alcuni casi di ottima qualità e un buon surrogato di quelle fatte in casa, oltretutto con la garanzia di norme igieniche molto esigenti. Il termine marmellata deriva dal nome portoghese della pianta di mele cotogne (il marmelo). Nella terminologia moderna, con il termine marmellata si possono designare solo i prodotti a base di agrumi (limone, arancio, mandarino, e le marmellate più rare di pompelmo, clementina, cedro e bergamotto). Tutti gli altri frutti danno origine a prodotti che si dovrebbero indicare più correttamente con il termine di confettura. La differenza è nella percentuale di frutta utilizzabile: nelle marmellate gli agrumi possono arrivare anche a solo il 20%, mentre nelle confetture si arriva al 35%. La confettura è detta Extra se la presenza di frutta arriva al 45%. Oltre alla marmellata e alla confettura vi è un terzo prodotto, spesso confuso con le prime due: la gelatina. Essa è prodotta esclusivamente dal succo della frutta senza polpa o buccia. La gelatina può essere venduta separatamente, oppure inserita come ingrediente nelle marmellate e soprattutto nei dolci. Il contenuto del succo di frutta nella gelatina è del 35% e, nel caso di gelatina “extra”, del 45%. Per confondere maggiormente il consumatore, esistono infine preparati non di agrumi che contengono una percentuale di frutta inferiore al 35% e quindi di qualità inferiore, che vengono definiti anch’essi marmellate. Per legge in questi casi la frutta non può comunque scendere al di sotto del 20%. Spesso, oltre alla frutta, un componente principale della marmellata è lo zucchero (in percentuale variabile a seconda della percentuale di frutta usata); alcune marmellate industriali contengono anche coloranti, addensanti, anche naturali, come la pectina che si ricava dalle mele. La qualità di una marmellata ovviamente è legata alla percentuale di frutta utilizzata e quindi all’aggiunta ridotta o nulla di zucchero. Quest’ultimo è generalmente saccarosio, e la sua percentuale determina essenzialmente il contenuto calorico della marmellata. Le meno caloriche (che contengono più frutta) partono da 100 Kcal, ma le più caloriche possono arrivare anche a 260 kcal. Nel valutare la genuinità della marmellata occorre controllare anche le norme igieniche che hanno portato alla sua confezione: mentre quelle industriali sono abbastanza sicure da questo punto di vista perché il processo di sterilizzazione dei barattoli è condotto con controlli accurati e l’aggiunta di antiossidante (generalmente acido ascorbico, cioè vitamina C) evita la fermentazione e l’alterazione del prodotto; per quello che riguarda le marmellate artigianali è essenziale condurre scrupolosamente il controllo del processo di cottura, sterilizzazione e chiusura del barattolo. Dal punto di vista nutrizionale, la marmellata è un alimento gradevole ma assolutamente non comparabile con la frutta fresca, in quanto la cottura prolungata fa perdere quasi completamente il contenuto vitaminico. Ciò è vero specialmente per le marmellate preparate in casa, dove i tempi di cottura sono generalmente più lunghi di quelli industriali. La marmellata quindi può essere una fonte valida di carboidrati ma non può sostituire dal punto di vista alimentare la frutta fresca. INFO AL. – CIBO DINAMICO (i valori che seguono sono medi) Marmellata con zucchero Carboidrati: 55; proteine: tracce; grassi: 0; acqua: 36; calorie: 220. Marmellata senza zucchero Carboidrati: 32,5; proteine: tracce; grassi: 0; acqua: 36; calorie: 130.
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Di dr.AlisaManca (del 25/09/2007 @ 13:13:12, in Lettera M, visto n. 196593 volte)
In linea generale possiamo distinguere due tipi di markers: 1) MARKERS CELLULARI: sono degli indicatori biochimici che ci danno delle informazioni riguardo la cellula che si sta studiando,la quale potrebbe essere anche sana. Si può,per esempio,indagare se le cellule della mammella hanno recettori per estrogeni. Ovviamente sia le cellule sane,sia quelle tumorali potranno avere questi recettori. Questo vuol dire che la positività o negatività recettoriale è un segno prognostico o di indicazione terapeutica,non è un indicatore di malattia. 2) MARKERS TUMORALI: oggi si preferisce parlare di markers associati al tumore perché molte di queste sostanze,pur essendo iperespresse da cellule tumorali,possono essere presenti anche in condizioni normali. Tra quelli prodotti dal tumore possiamo avere: Ormoni,che danno origine a sindromi paraneoplastiche ( iper o ipoglicemie,poliglobulie,etc); Antigeni associati al tumore: - antigeni oncofetali (CEA, AFP); - antigeni tumorali definiti da ibridomi ( CA 19.9, CA 15.3, CA 125). Il CEA (antigene carcino-embrionario) è prodotto da cellule tumorali indifferenziate,ma prodotto anche a livello embrionale. L’ AFP (alfa-feto-proteina) è prodotta da vari tipi di cellule tumorali,ma anche dall’embrione. Quello che differenzia il fisiologico dal patologico è,spesso,il dosaggio. Gli antigeni tumorali definiti da ibridomi,sono antigeni espressi da cellule tumorali che si riescono ad identificare grazie alla tecnica degli ibridomi attraverso la quale si sono riusciti ad ottenere antigeni specifici contro antigeni presenti su determinate cellule tumorali. Questa tecnica consiste nell’immunizzare un animale con un antigene ricavato da una cellula tumorale il più possibile specifico per quel tipo tumorale;l’animale produce anticorpi,ma in quantità non sufficienti per poterli utilizzare. Si prende dall’animale immunizzato una cellula immunocompetente (linfocita B) che produce anticorpi e la fondo con una cellula di mielosa che produce anticorpi in grande quantità; a quest’ultima cellula,in questo modo,do l’indicazione di produrre anticorpi specifici diretti contro l’antigene riconosciuto dal linfocita B . Questi anticorpi monoclinali serviranno per identificare gli antigeni tumorali circolanti. Vediamo più in dettaglio i markers. CEA (antigene-carcino-embrionale): è uno dei markers che si usa di più; è molto sensibile. I valori normali sono < di 5,mentre nei fumatori sono < di 10;oltre 10,però,la possibilità che ci sia un tumore è elevata. Il CEA non è molto specifico perché può aumentare in molti tipi di tumore (colon-retto,stomaco,pancreas,polmone,mammella,endometrio). AFP (alfa-feto-proteina): è una glicoproteina del tipo alfa-1-globulina;normalmente è presente nel feto,sacco vitellino,epitelio intestinale del feto;proprio per questo motivo,valori molto elevati si possono trovare,fisiologicamente,nel feto,nel neonato e nella donna gravida. Ha una clearence elevata e nell’arco di 1-2 settimane i valori tendono a normalizzarsi sia nella madre che nel neonato; i valori normali nell’adulto sono molto bassi ( pochi nanogrammi). I tumori che producono AFP sono quelli in cui le cellule hanno riacquistato caratteristiche di cellule embrionali come,per esempio, i tumori germinali del testicolo. AFP è aumentata nell’epatocarcinoma ma NON nel colangiocarcinoma ( è importante questo dato,se consideriamo che spesso questi due carcinomi entrano in diagnosi differenziale). Inoltre,livelli elevati di AFP si hanno anche nel corso di cirrosi post-epatitica o epatite cronica in evoluzione. In effetti,in corso di epatite c’è una fase necrotica alla quale segue una fase di rigenerazione in cui l’epatocita assume caratteristiche di una cellula immatura e ricostruisce il tessuto epatico distrutto; AFP è alta e rimane tale in corso di epatite cronica perché c’è un continuo alternarsi di fasi di necrosi e rigenerazione. I valori normali sono < 20 mg/ml. CA 125: è un antigene glicoproteico identificato con la tecnica degli ibridomi; è associato per lo più al carcinoma ovario e viene utilizzato sia per fare diagnosi,sia per il monitoraggio. Non è utile nella diagnosi precoce e nello screening. Il tasso ematico normale è < 35 U/ml. CA 15.3: è un antigene glicoproteico associato al cancro della mammella; è rilevato da due anticorpi monoclonali rivolti verso le micelle lipidiche del latte o frazioni di membrana ottenute da metastasi di k mammario. Il CA 15.3 aumenta in relazione alla metastatizzazione del carcinoma;nelle patologie benigne si hanno valori molto bassi. Valori normali: <30 U/ml; bordeline:30-40 U/ml ( in questo caso è consigliato di effettuare un controllo del dosaggio dopo un mese); tumore: >40 U/ml. CA 50: è un antigene associato ai carcinomi colon-rettali e pancreatici. I suoi valori normali:<23 U/ml. CA 19.9: è un antigene oncofetale poco specifico:è positivo per k. pancreatico,stomaco,esofago,colon,vie biliari,polmone. E’,però, l’unico che permette di fare diagnosi su base ematica di k.pancreatico ( è positivo nell’80% dei casi). I valori normali sono <40 U/ml. Può essere aumentato anche in corso di pancreatite. TPA: antigene polipeptidico tissutale; non viene quasi mai valutato perché è aspecifico. E’ usato per controllare i tumori vescicali. Valori normali < 85 U/l. MCA : è un antigene di tipo mucinoso. E’ del tutto sovrapponibile,come sensibilità,specificità,applicazioni cliniche,al CA 15.3 che è specifico per il k.mammario. PSA: è una glicoproteina prodotta dalla prostata,normalmente aumentata in corso di patologie prostatiche. E’ più sensibile della fosfatasi acida prostatica,ma non è specifica di malignità. E’ utile nello screening,abbinato ad esplorazione rettale. Importante è fare PRIMA il prelievo di sangue per dosare il PSA e POI l’ esplorazione rettale perché premendo la prostata un po’ di PSA va nel sangue.
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Di Viola Sinismagli (del 30/03/2011 @ 17:27:44, in Lettera M, visto n. 2618 volte)
Fattore variabile misurato in uno studio che è conosciuto per essere un indicatore della malattia (ad esempio, LDL-C, HDL-C, aterosclerosi).
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Di Viola Sinismagli (del 30/03/2011 @ 17:26:25, in Lettera M, visto n. 2880 volte)
Sostanze presenti nel sangue coinvolte nel processo infiammatorio. Si pensa che alcuni di essi contribuiscano allo sviluppo dell'aterosclerosi.
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Di medicinasalute (del 15/05/2012 @ 13:51:44, in Lettera M, visto n. 1317 volte)
si tratta di una piccola massa di tessuto cicatriziale e non doloroso, che si sviluppa attorno all’ano in seguito di tromboflebite, rottura o emorroidi.
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Di medicinasalute (del 15/05/2012 @ 13:50:40, in Lettera M, visto n. 1078 volte)
o marihuana, droga estratta dalla canapa indiana
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Di salute (del 06/10/2007 @ 13:06:11, in Lettera M, visto n. 1536 volte)
La margarina fu prodotta per la prima volta nel 1869 ad opera di un chimico francese, Mège-Mouriès. Il termine deriva dal greco margaron che significa perla, in quanto al microscopio le particelle di grasso hanno appunto l’aspetto di tante minuscole perle regolari. Inizialmente, nel processo di produzione originale del chimico francese, la fonte di grassi era di tipo animale, ma oggi la margarina da cucina è prevalentemente di origine vegetale. Solo quella usata dall’industria pasticcera può contenere grassi animali e conseguentemente colesterolo in percentuale molto variabile. Fin dall’inizio fu considerata un’alternativa più economica del burro: risulta infatti una miscela di grassi alimentari e acqua. Per quanto riguarda la margarina da cucina, a differenza del burro, la fonte di grassi non è il latte, ma possono essere varie, essenzialmente oli vegetali estratti da palma, cocco, mais, arachidi, soia e girasole. Tutti gli oli vegetali usati nella produzione di margarina sono in parte idrogenati per essere resi più solidi. Se utilizzata quindi la posto del burro, pur non contenendo colesterolo e avendo un gusto più delicato, ha come lati negativi l’assenza di vitamine caratteristiche dei grassi provenienti dal latte (A e D) e il processo di idrogenazione, nocivo alla salute. Conseguentemente anche il contenuto di vitamina E è fortemente variabile a seconda degli oli usati e della loro percentuale rispetto all’acqua. In genere nelle margarine sono aggiunti anche sale, additivi, emulsionanti, coloranti e antiossidante per aumentarne la durata. In commercio si distinguono due classi di margarine, quelle tradizionali e quelle dette leggere con un contenuto di grassi ridotto, intorno al 60%. È quindi un cibo tipicamente dinamico. INFO AL. – CIBO DINAMICO - Carboidrati: 0,4; proteine: 0,6; grassi: 84; acqua: 13; calorie: 760.
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