Di seguito tutti i lemmi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di E.F. (del 12/04/2013 @ 11:46:05, in Lettera L, visto n. 817 volte)
Metodo terapeutico non tossico che utilizza minerali e rocce diluiti e dinamizzati. I litoterapici favoriscono l’attività degli enzimi del corpo aiutando il metabolismo e liberano le sostanze nutritive bloccate (azione dechelatrice) da additivi alimentari, insetticidi, conservanti, coloranti,
farmaci come estrogeni e antibiotici, presenti negli alimenti.
Secondo la medicina omeopatica, l'utilizzo di diluizioni omeopatiche di metallo permette di liberare la parte dello ione chelato e reinserirlo nel circuito
metabolico. L'impiego di rocce e minerali diluiti e dinamizzati sarebbe giustificato dal fatto che vi è analogia di struttura cristallina tra il minerale e il chelato, da cui si vuole liberare lo ione metallico.
Il campo di applicazione della litoterapia è molto vasto e ricopre praticamente tutti i grandi capitoli della patologia.
Il minerale, in forma di polvere di roccia, viene poi preparata in forma omeopatica, cioè diluita in vari passaggi, e pronta per l’uso terapeutico (in forma
di fiale bevibili, nella misura di 2 o 3 al giorno non in vicinanza dei pasti).
Questa polvere di roccia viene poi preparata in forma omeopatica, cioè diluita in vari passaggi, e pronta per l’uso terapeutico in forma di fiale bevibili.
La prima documentazione storica relativa alla litoterapia risale al 1500 prima dell’Epoca comune, e deriva dal papiro d'Ebers (dal nome dello scienziato
tedesco che lo studiò nel 1873): in esso si accenna ad una vera e propria farmacopea, nella quale figurano numerosi minerali, in particolare la malachite, il lapislazzulo, il solfuro di piombo, l’antimonio.
Di E.F. (del 12/04/2013 @ 12:01:59, in Lettera L, visto n. 901 volte)
Viene così definita la frantumazione di un calcolo nella vescica urinaria.
In passato veniva eseguita con l'aiuto di una pinza detta litotritore che veniva introdotta manualmente nella vescica attraverso l'uretra e manovrata sotto
controllo radioscopico.
Oggi viene utilizzata una tecnica ad onde d'urto a cui viene sottoposto il paziente in anestesia totale ed immerso in una vasca. L'onda, tramite puntamento
computerizzato, disgrega il calcolo fino a renderlo simile a sabbia e quindi facilmente eliminabile con le urine.
La litotripsìa a onde d'urto permette di evitare l'intervento chirurgico per l'asportazione dei calcoli della vescia e dei reni su una percentuale molto alta
di pazienti.
Di E.F. (del 12/04/2013 @ 12:03:13, in Lettera L, visto n. 833 volte)
Sinonimo di litotripsia.
Dal nome del chirurgo ortopedico britannico William John Little. È una affezione neurologica relativamente frequente nel bambino la cui causa è sconosciuta. Si manifesta sin dalla nascita e migliora progressivamente verso i 5 anni. È anche chiamata paralisi cerebrale infantile sebbene non sia presente un vero e proprio quadro paralitico. È presente ipopaplasia del sistema piramidale. I bambini affetti da questa sindrome presentano un aumento del tono muscolare soprattutto a carico degli arti inferiori, con persistenza della posizione a lama di forbice degli arti inferiori quando il bambino viene sollevato per le ascelle. La terapia si avvale di rieducazione motoria.
Di E.F. (del 15/04/2013 @ 09:21:29, in Lettera L, visto n. 2230 volte)
La livedo reticolare è una affezione della pelle riconoscibile dalle chiazze violacee a forma di rete che si creano attorno a zone di cute normali. Si riscontra generalmente sugli arti, soprattutto quelli
inferiori ed è causata dall'abbassamento della temperatura locale, ad esempio quando il soggetto si toglie gli indumenti. Scompare al mancare della causa scatenante.
Nel momento in cui la livedo reticolare non sparisce può essere indizio di una patologia più grave.
Può essere congenita o associata a malattie di tipo reumatico o infettivo.
Colorazione bluastra assunta dalla cute in conseguenza di traumi contusivi (vedi ecchimosi).
Asportazione chirurgica di un lobo polmonare. Si rende necessaria in caso di affezioni che abbiano compromesso in modo irreversibile la funzionalità della zona colpita. Può rendersi necessaria in seguito a tubercolosi, ascessi polmonari cronici, cisti bronchiali o tumori. Rispetto all’asportazione totale di un polmone, ha il vantaggio di conservare al paziente una maggiore capacità respiratoria.
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