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 Informazione medica libera per una salute senza condizionamenti... di Admin
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Di seguito tutti i lemmi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di riccardo (del 23/01/2014 @ 11:03:11, in Lettera P, visto n. 1078 volte)
Branca della medicina interna che studia le malattie dell'apparato respiratorio. Oggi si parla di pneumologia interventistica, disciplina derivata dalla Endoscopia Toracica diagnostica e operativa. La nuova dizione è stata necessaria per adeguare la materia alla continua evoluzione tecnologica, scientifica e clinica. Comprende le attività in Endoscopia Toracica e in genere della Endoscopia Toracica eseguita dagli Pneumologi Ospedalieri in Italia, con l’utilizzo e il perfezionamento di tutte le metodiche della Endoscopia Bronchiale Diagnostica e Operativa nell’adulto e nel bambino (lavaggio broncoalveolare, biopsia transbronchiale, agoaspirato transbronchiale, laserterapia, posizionamento di endoprotesi tracheobronchiali, ecc...) e dalla Toracoscopia Medica, diagnostica ed operativa. Negli ultimissimi anni vi è stato ad un incremento di interesse per le metodiche endoscopiche e operative in genere anche da parte delle Società Scientifiche Pneumologiche Internazionali più importanti (SIET, ACCP, ERS, ATS e AIPO) che ha portato attraverso l’elaborazione di documenti autorevoli (1, 2, 3, 4) ad una puntualizzazione di tali metodiche, endoscopiche e non, individuandone e riaffermandone le competenze nella figura dello pneumologo.
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Di dr.psico (del 08/09/2007 @ 14:54:15, in Lettera P, visto n. 6656 volte)
La malattia è dovuta alla formazione di un versamento più o meno abbondante nella cavità pleurica di causa virale, batterica tubercolare. A seconda della qualità dell'essudato si distinguono: pleurite sierofibrinosa, pleurite emorragica, pleurite purulenta o empiema. Talvolta è successiva a processi patologici in atto come malattie del connettivo, neoplasie, ecc. Solitamente insorge con febbre elevata che talvolta può mancare e quasi sempre è presente dispnea. I sintomi obiettivi consistono in allargamento dell'emitorace colpito, abolizione del fremito vocale tattile e ipofonesi nella parte inferiore del torace che sfuma verso l'alto in una zona iperfonetica con una linea convessa verso l'alto, assenza del murmure in corrispondenza della zona ottusa. Nei primi giorni si possono udire sfregamenti, che poi scompaiono quando la formazione del liquido allontana i foglietti pleurici. All'esame radiologico risulta una opacità omogenea della parte inferiore del torace che termina con una linea convessa verso l'alto e obliqua verso il basso in senso latero-mediale. Il mediastino è di regola spostato controlateralmente. La puntura esplorativa dà esito a un liquido di solito di colore gialli-citrino, le cui gocce, poste in un cilindro contenente acqua e alcune gocce di acido acetico, formano delle nuvolette paragonabili a fumo di sigaretta (prova di Rivalta). Una caratteristiche della pleurite neoplastica: è che può riformarsi continuamente senza dare altri sintomi, all'infuori della dispnea, fino all'apparire della neoplasia; quasi sempre è emorragica e può essere caratterizzata dalla retrazione anziché dall'espansione dell'emitorace colpito. Per la cura è indispensabile evacuare il liquido mediante immissione di aria, somministrazione di antipiretici più una terapia a base di antibiotici a largo spettro, antitubercolari, antineoplastici a seconda della diagnosi.
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Di dr.psico (del 08/09/2007 @ 16:13:17, in Lettera P, visto n. 1374 volte)
Sostituzione del plasma sanguigno di un soggetto, quando esso contenga sostanze nocive, trasfondendo plasma di un donatore, ma lasciando del tutto inalterata la componente cellulare del sangue.
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Di Viola Sinismagli (del 23/03/2011 @ 16:14:59, in Lettera P, visto n. 1787 volte)
Termine usato per descrivere uno studio nel quale gli effetti di un trattamento sono comparati con gli effetti di un placebo (falso trattamento) in un numero simile di pazienti.
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PKU
Di Viola Sinismagli (del 11/03/2011 @ 12:45:34, in Lettera P, visto n. 1162 volte)
Sigla di Fenilchetonuria.
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Di salute (del 06/10/2007 @ 14:48:08, in Lettera P, visto n. 1486 volte)
La pizza è un piatto relativamente recente. Per quanto la consuetudine di realizzare impasti sottili di grano macinato a forma di disco, arrostiti su pietra, si perda nella notte dei tempi, la nascita della pizza al pomodoro come la intendiamo oggi avvenne nella città di Napoli. Qui già verso l'anno Mille si parla di un alimento detto picea, di cui non conosciamo i particolari, che in seguito prese il nome di pizza. Fu però solo nel Settecento che comparve la pizza col pomodoro. Le prime notizie circa l'esistenza di una vera e propria pizzeria risalgono al 1830: si tratta della pizzeria Port'Alba, con forno in mattoni refrattari alimentato a legna. Le varietà di pizza erano molte e diverse: con formaggio grattugiato, basilico e strutto; con aglio, olio, origano e sale; con pesciolini ecc. La famosa pizza Margherita nacque nel 1889; quell'estate la regina Margherita di Savoia si trovava presso la reggia di Capodimonte, in visita nel Regno delle Due Sicilie. Desiderosa di assaggiare il piatto tipico della zona, convocò a corte Raffaele Esposito, il più noto pizzaiolo dell'epoca. Esposito preparò diverse pizze, fra cui una con mozzarella, pomodoro e basilico, i colori della bandiera, che piacque particolarmente alla regina. Per questa ragione Esposito in seguito cominciò a vendere questa pizza battezzandola ‘alla Margherita'. Oggi la pizza ha conquistato i consumatori di tutto il mondo, anche grazie alla sua versatilità; le combinazioni di ingredienti utilizzati per preparare questa pietanza sono ormai innumerevoli. L'autentica pizza napoletana va realizzata con un impasto di farina di frumento, acqua e lievito, a cui si aggiungono pomodori San Marzano, mozzarella di bufala, olio extravergine di oliva, sale marino. La cottura va effettuata in forno refrattario alimentato a legna (preferibilmente di quercia e ulivo), a una temperatura compresa fra i 420 e i 480 °C. Appare già evidente che le pizze che consumiamo normalmente sono prodotti che rispettano poco queste regole; per esempio, spesso viene utilizzato il formaggio fuso e i pomodori non sono sempre all'altezza della situazione. Infine la cottura: la pizza deve avere una forma circolare, con bordo regolare, non rigonfio né bruciato e la parte centrale deve risultare morbida. La composizione nutritiva della pizza varia notevolmente a seconda degli ingredienti utilizzati e delle dimensioni; quella tradizionale dovrebbe pesare poco più di due etti appena sfornata. Nella dieta - La pizza tipica da pizzeria ben difficilmente può rientrare in un piano dietetico; di dimensioni eccessive, spesso consumata come primo piatto di un pranzo molto ricco, anche dal punto di vista alimentare non è granché, visto che (tranne le dovute eccezioni) gli ingredienti non sono mai di prima qualità per contenere il prezzo. Dal momento che l'apporto calorico varia molto, è difficile fare rientrare la pizza in un piano alimentare rigoroso, a meno di non ricorrere ai prodotti surgelati che, fra l'altro, hanno il vantaggio di porzioni più contenute (una pizza consumata in pizzeria arriva facilmente alle 1000 kcal, mentre quelle surgelate, al massimo 300-350 g, arrivano alle 600-700 kcal). Per esempio, la pizza Bella Napoli Buitoni fornisce 228 calorie per 100 g, la Margherita Findus 247, la vegetariana Valsoia 150. Anche in questo caso bisogna prestare attenzione alla quantità totale di prodotto effettivamente consumata; come abbiamo visto, una pizza pesa ben più di un etto… INFO AL. Pizza con pomodoro Carboidrati: 51,9; proteine: 4; grassi: 4; acqua: 40,5; calorie: 247. Pizza con pomodoro e mozzarella Carboidrati: 52,9; proteine: 5,6; grassi: 5,6; acqua: 39; calorie: 271.
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Di salute (del 25/06/2007 @ 11:48:43, in Lettera P, visto n. 48485 volte)
Mai come in questa epoca la vacanza al mare rappresenta uno degli appuntamenti fissi dell’anno. Si ricercano nuove spiagge e nuovi mari dove tramutare il triste bianco emaciato della cute invernale in voluttuose ed ambrate tinte. Per qualcuno però il ritorno ahimè non è felice come la partenza: non perché siano venute a mancare le aspettative del sole e del mare ma per l’affiorare sulla cute del tronco di tanti coriandoli di cute chiara che così impietosamente contrastano con l’abbronzatura. E’ l’aspetto antiestetico che avvicina il paziente al dermatologo. Infatti non sono presenti sintomi soggettivi né effetti sullo stato generale: la salute del soggetto è buona. La cute, talora sgradevole alla vista, contrasta quindi con la benignità della malattia che ha un nome curioso: Pityriasis versicolor (P.v.). La P.v. deve il suo nome (versicolor) alla presenza di macchie multicolori: infatti accanto alla varietà acromizzante ( chiazze biancastre) che raccoglie circa la metà dei casi ed è particolarmente evidente nei soggetti a cute scura e dopo l’esposizione al sole (il fungo esercita una azione inibitoria sulla pigmentazione), si possono osservare la varietà bruna (chiazze color bruno-camoscio, caffè-latte) e la varietà eritematosa (chiazze rosate). Tali quadri clinici sono presenti nella maggioranza dei casi singolarmente; talora, molto più raramente, coesistono nello stesso paziente (soggetti a cute chiara non esposta al sole), dando origine alla varietà variopinta. Accanto al colore, le macule di P.v., in fase attiva e non trattate, sono caratterizzate dalla presenza sulla superficie di minute squame che assomigliano a crusca (da cui il nome Pityriasis, dal greco pituron=crusca) che possono essere facilmente rimosse senza emorragia con un colpo d’unghia od una curette smussa (cosiddetto "segno del colpo d’unghia"- "scratch sign" per gli anglosassoni, "signe du coup d’ongle" per i francesi-, oppure "segno del truciolo" -"chip sign","signe du coupeau"-). Le dimensioni delle macchie possono variare da pochissimi millimetri (1-2) a qualche centimetro (con forme ovalari o rotondeggianti), il numero degli elementi da pochi a decine e decine, l’estensione da localizzata ad un segmento cutaneo a generalizzata su di una grande area cutanea. Tipicamente le sedi più comunemente interessate sono la parte superiore del tronco e del dorso e il collo. Meno frequentemente il viso (lungo l’attaccatura dei capelli), gli arti superiori ed inferiori, le pieghe cutanee (cavi ascellari, inguine, piega del gomito, cavo popliteo, solchi sottomammari), il pube, il pene, il seno. L’agente causale della malattia (denominato Malassezia furfur, Pityrosporum orbicolare, Pityrosporum ovale) è un lievito lipofilo e lipido-dipendente (ossia necessita di grassi per vivere), saprofita della cute (ossia vive a spese della cute senza danneggiarla) ed in particolare del follicolo pilifero; è presente in un’altissima percentuale della popolazione sana. Poiché relativamente modesta è la percentuale di persone affette da P.v. rispetto ai portatori asintomatici (ossia senza manifestazioni cliniche della malattia) occorre che vi siano fattori favorenti che inducano il passaggio del lievito da saprofita a parassita patogeno (in questo caso vive a spese della cute danneggiandola). Innanzitutto è da porsi l’assunto di una predisposizione genetica. Infatti in contrasto con la scarsa o nulla contagiosità del lievito ( come è dimostrato dalle numerosissime coppie in cui la moglie od il marito ha la P.v. mentre l’altro coniuge ne è esente), non è raro osservare nuclei familiari della medesima discendenza ammalati. Su questo carattere individuale fondamentale se ne inseriscono altri, chiaramente favorenti: 1) i lipidi (grassi ) cutanei (come detto in precedenza il lievito si nutre di grassi), sia si produzione delle ghiandole sebacee sia derivanti dalla decomposizione delle cellule della cute; 2) la secrezione sudorale influenza la crescita poiché, come ogni altro fungo, il Pityrosporum ha bisogno di umidità per crescere; 3) il clima caldo-umido. Da quest’insieme di fattori si comprende come: A) le zone colpite dalla malattia siano quelle in cui sono presenti le ghiandole sebacee, ossia tutto il corpo tranne le piante dei piedi e il palmo delle mani (vedi punto 1 dei fattori favorenti); B) siano affetti maggiormente soggetti con abbondante sudorazione, oppure persone che frequentino luoghi in cui essa sia stimolata (saune, palestre, ecc.) oppure indossino indumenti sintetici che mantengono umida la pelle (vedi punto 2); C) nel nostro paese sia tipica la periodicità estiva ( vedi punto 3): il clima caldo-umido estivo infatti stimola la sudorazione e l’esposizione ai raggi ultravioletti la produzione di melanina, responsabile dell’abbronzatura e quindi di quel contrasto cromatico che è alla base dell’inestetismo della malattia. Nella diagnosi dell’affezione bisogna tenere conto che non tutte le macchie bianche della cute sono P.v.. Capita spesso infatti che si presentino a visita persone erroneamente convinte di avere tale malattia. Ricordiamo ad esempio come la vitiligine, la Pityrisiasi alba (tipica del volto dei bambini), le acromie lenticolari idiopatiche (presenti sulle gambe di persone in età matura, specie se con precedenti di prolungate esposizioni solari), le discromie che talora seguono l’abbronzatura simulino talora la P.v.. La certezza della diagnosi si basa sull’esperienza dello specialista dermatologo che può intuirla attraverso alcune caratteristiche della malattia oppure, in caso di dubbio, mediante un esame microscopico diretto delle squame cornee prelevate da una chiazza tramite delicato curretage o esaminando la cute del paziente, in ambiente buio, con la lampada di Wood ( lampada a raggi ultravioletti di una determinata lunghezza d’onda): le lesioni di P.v. emettono una inconfondibile e tipica fluorescenza giallo-verdastra, permettendo altresì di scoprire macchie peraltro invisibili a occhio nudo. La terapia della P.v. si basa sull’uso di farmaci da applicare sulla cute o da assumere per via orale, avendo presente che un ciclo di cura non ha efficacia perenne, data la tendenza a ripetersi della malattia, e che le cure e gli accertamenti dovrebbero essere preferibilmente opera dello specialista dermatologo.
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