Fu descritta per la prima volta dal neurologo Alois Alzheimer nel 1907 (malattia di Alzheimer-Perusini). Si tratta di una grave degenerazione del tessuto cerebrale, processo lento, progressivo ma inarrestabile che provoca la perdita delle capacità intellettive, con conseguente grave menomazione della vita sociale e affettiva. Costituisce il 60% di tutte le demenze, colpisce (tranne rari casi) dopo i sessant'anni e la sua evoluzione fino agli stadi più gravi può durare dagli 8 ai 15 anni; ne è colpito il 5% dei sessantenni e circa la metà delle persone oltre gli 85 anni. La malattia, i cui sintomi iniziali sono decadimento mnemonico, turbe dell'orientamento e perdita delle capacità cognitive, è caratterizzata da una progressiva necrotizzazione delle cellule cerebrali corticali, con lesione dei centri preposti al pensiero (ippocampo) e al raziocinio (corteccia). Le cause non sono ancora state chiarite. Gli studi della malattia hanno evidenziato che il meccanismo potrebbe essere legato a difetti genetici. A eccezione di alcune rare forme familiari (FAD), che sono chiaramente ereditarie, non c'è però alcuna conferma che la malattia si trasmetta ai figli. Attualmente non esiste una cura.
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