Nonostante tre casi umani di influenza H5N1 e una bimba deceduta in Cambogia, la possibilità che il virus dell'aviaria colpisca l'uomo non può essere ancora considerata una certezza. Ad affermarlo è un gruppo di ricercatori italiani, autori di uno studio prossimo alla pubblicazione sulla rivista Pathogen and Global Health. A coordinarli Fabio Scarpa, genetista del dipartimento di medicina veterinaria dell'Università di Sassari. Gli scienziati hanno ricostruito l'andamento dei casi di infezione: protagonisti una bambina cambogiana (deceduta), una donna cinese e un uomo ecuadoregno. Circostanze che lasciavano pensare a episodi di spillover del virus, protagonista di un'epidemia senza precedenti in Europa. Ma i dati analizzati suggeriscono che “quelli riportati sono casi umani autolimitanti, senza salti patogeni tra le specie”.
“Il salto di specie - si spiega nel lavoro, a cui hanno preso parte anche ricercatori del Campus Bio-Medico e della Sapienza università di Roma: oltre che dell'Instituto Rene Rachou Fundacao Oswaldo Cruz di Belo Horizonte - può verificarsi quando una popolazione patogena ad alta prevalenza (serbatoio) entra in contatto con soggetti appartenenti a specie diverse e il patogeno (che da mesi minaccia la filiera del pollame) si diffonde in una nuova popolazione.
Secondo gli studiosi, “la firma genetica di un evento di spillover è chiaramente diversa da quella mostrata nei casi segnalati”. I cambiamenti nei virus influenzali sono veicolati dalla cosiddetta deriva antigenica, che consiste in piccole mutazioni nei geni Ha (emoagglutinina) e Na (neuraminidasi), che provocano cambiamenti in queste due proteine di superficie del virus.
Questi cambiamenti sono continui nel tempo man mano che i virus influenzali si replicano: generando ceppi diversi, ma strettamente correlati tra loro. Quando c'è il salto di specie, invece, “la variazione è brusca e dovuta a uno spostamento antigenico, ovvero a modifiche causate da eventi di ricombinazione che generano nuove proteine Ha e Na che acquisiscono la capacità di infettare l'uomo”, affermano gli scienziati.
Queste possono portare a un nuovo sottotipo in grado di infettare le persone per la prima volta. Un evento che si è verificato nella primavera del 2009 quando il virus H1N1, con geni provenienti da virus originati da suini nordamericani, suini eurasiatici, esseri umani e uccelli, emerse per infettare le persone e diffondersi rapidamente, causando una pandemia.
Al momento, dunque, H5N1 non ha ancora mostrato nessuna di queste caratteristiche. Manca, dunque, la firma genetica di uno spillover. “Questo non vuol dire però che un simile evento non possa verificarsi - avvertono i ricercatori -. Sebbene il virus H5N1 possa causare malattie gravi negli esseri umani”, secondo lo studio “fino ad ora non è stata identificata una diffusione da uomo a uomo sconosciuta. D'altra parte va sottolineato che in cento casi di spillover il numero totale di contagi umani sarebbe stato molto più alto”.
Intanto in un allevamento di visoni in Spagna è stato riscontrato l'avvio di un focolaio di un ceppo di H5N1 - virus noto come influenza aviaria - in grado di diffondersi tra i mammiferi.
Nell'allevamento di visoni di Carral il tasso di mortalità fra gli animali è passato dallo 0,25 a 0,77 a settimana con positività al test per H5N1. Dal sequenziamento è emersa l'infezione da una nuova variante del virus, e i responsabili dell'allevamento sono stati costretti ad abbattere gli oltre 50.000 visoni della fattoria. Tra i lavoratori agricoli, 11 sono stati a contatto con un animale infetto, ma tutti sono risultati negativi al test per l'H5N1.
«Questa variante costituisce un territorio inesplorato dell'influenza aviaria - ha precisato Wendy Puryear, virologa presso la Tufts University di Medford - in assenza di determinate precauzioni specifiche, la malattia potrebbe anche compiere il salto interspecie e diffondersi nell'uomo».
«Gli animali - ha spiegato Hualan Chen, virologo presso l'Harbin Veterinary Research Institute in Cina - possono ingerire escrementi di uccelli selvatici o predare animali infetti. Questo può portare allo sviluppo della malattia. La diffusione tra i mammiferi, però, implica che H5N1 può rappresentare un rischio maggiore per la salute pubblica».
«I visoni - scrivono gli autori del rapporto Eurosurveillance a cui fa riferimento l'articolo di Nature - potrebbero costituire un potenziale bacino di trasmissione interspecie tra uccelli, mammiferi e umani. È necessario rafforzare la cultura della biosicurezza e della bioprotezione in questo sistema di allevamento e promuovere l'attuazione di programmi di sorveglianza per l'influenza aviaria e altri patogeni zoonotici».
Secondo gli esperti, tuttavia, anche nel caso in cui l'infezione passasse all'uomo, dovrebbe essere abbastanza facile produrre in breve tempo un nuovo vaccino.
«Il rischio più elevato riguarda gli animali selvatici - commenta Puryear - l'influenza aviaria ha costantemente provocato livelli elevati di malattia e alti tassi di decesso tra uccelli selvatici e mammiferi nell'ultimo anno, per cui sarà fondamentale monitorare in che modo la nuova variante si comporterà. Non possiamo ancora effettuare previsioni accurate».
L'epidemia da virus H5N1 è iniziata alla fine del 2003 nel sud-est asiatico, dopo due anni il virus ha raggiunto anche l'Europa. Negli ultimi due anni si è diffuso anche tra i mammiferi, mettendo in allarme l'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ora gli scienziati si interrogano sulla possibilità che una nuova mutazione del virus possa consentire anche il contagio interumano, originando una pandemia come quella da Covid-19.
I sintomi dell'aviaria sono variabili: questa tipologia di influenza può manifestarsi in forma lieve, con un'infezione delle vie respiratorie superiori, febbre e tosse, ma anche dare origine a una grave polmonite. Finora è stata segnalata, nei Paesi Bassi, solo un'infezione umana fatale da A(H7N7). Sintomi gastrointestinali, come nausea, vomito e diarrea sono stati riportati più frequentemente nell'infezione da A(H5N1). I casi descritti in Italia tra gli esseri umani sono rarissimi e per lo più asintomatici. Segnalate delle congiuntiviti guarite spontaneamente nei casi di A(H7).
Per l'uomo il principale fattore di rischio è l'esposizione ad ambienti contaminati, a stretto contatto con animali infetti, vivi o morti. Si tratta di situazioni a rischio, come mercati con uccelli vivi, luoghi di macellazione e lavorazione delle specie avicole. Non ci sono prove che la trasmissione possa avvenire manipolando carni o uova cotti. Alcuni casi sono stati collegati al consumo di piatti a base di sangue di pollame crudo e contaminato. Nel mondo non è stato mai riscontrato alcun caso di contagio da uomo a uomo.
Stando ai dati attutali, l'incubazione dell'influenza aviaria A(H5N1) nell'uomo varia dai 2 ai 5 giorni. Nelle infezioni umane da virus A(H7N9) questo periodo si allunga fino a 10 giorni, con una media di 5.
Attualmente, l'OMS non ha fornito indicazioni che limitino i viaggi per e da Paesi colpiti dall'influenza aviaria. Tuttavia, è possibile adottare alcune misure di prevenzione. Non vi è disponibilità di vaccini per la prevenzione diretta delle infezioni da influenza aviaria nell'uomo, ma è consigliato sottoporsi alla vaccinazione contro l'influenza stagionale. Pur non offrendo una protezione specifica verso i virus dell'aviaria, riduce la probabilità di contrarre contemporaneamente sia l'influenza aviaria che quella stagionale.
Sono disponibili farmaci per il trattamento e la prevenzione dell'aviaria. Studi scientifici mostrano una possibile efficacia di alcuni antivirali: gli inibitori della neuraminidasi (oseltamivir, zanamivir) possono ridurre la durata e la replicazione del virus. A causa di una segnalata insorgenza di resistenza all'oseltamivir saranno necessari ulteriori studi clinici per testarne l'effettiva efficacia. Se si ha il sospetto di aver contratto l'aviaria, o se l'infezione è stata già confermata, gli inibitori della neuraminidasi dovranno essere prescritti tempestivamente, entro le prime 48 ore dall'insorgenza dei sintomi, al fine di ottenere i migliori benefici. Non è escluso che si possa considerare di somministrare il farmaco, in caso di necessità, anche in fasi più avanzate della malattia. La durata minima di somministrazione è di 5 giorni, da estendere a seconda delle esigenze rilevate dal medico competente.
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