Una nuova tecnica per gli organi artificiali

Tessuti tridimensionali per capire le aderenze reciproche

L'obiettivo di molti ricercatori è di produrre organi artificiali. Per farlo, tuttavia, è necessario anche creare tessuti in grado di funzionare come quelli presenti nel nostro corpo.
Un team di scienziati dell'Università della California sta studiando un nuovo metodo nel quale il Dna agisce come una sorta di velcro e consente alle cellule di aderire fra di loro.
Nel nostro organismo le cellule si auto-assemblano e formano delle complesse strutture tridimensionali che a loro volta creano i tessuti. Il comportamento delle singole cellule è determinato dai segnali trasmessi dalle cellule vicine, e il comportamento collettivo di cellule e tessuti negli organi scaturisce da rapporti a tre dimensioni.
Con il nuovo metodo le cellule aderiscono grazie a filamenti di Dna allo scopo di assemblare strutture predefinite. In questo modo, uno strato alla volta, si creano i tessuti.
“La stampa 3-D di cellule è un metodo ormai diffuso nell'ingegneria dei tessuti, anche se restano ancora da risolvere problemi legati al mantenimento in vita delle cellule e alla loro corretta disposizione”, spiega Zey Gartner, il professore di chimica farmaceutica dell'Università della California, a San Francisco, che ha guidato la ricerca. “È importante raggiungere una risoluzione della singola cellula, e il nuovo metodo è in grado di farlo”.
Il metodo ora consente di produrre strutture con uno spessore di pochi micrometri e una larghezza di diversi centimetri. Per aumentare il volume dei tessuti i ricercatori dovranno risolvere uno dei problemi più complessi, ovvero l'alimentazione delle cellule con ossigeno e nutrienti.
La soluzione potrebbe venire da una combinazione fra tessuti ricavati con il nuovo metodo e dispositivi microfluidici come quelli utilizzati dalle tecnologie organ-on-a-chip. L'obiettivo ultimo è la creazione di tessuti in grado di assemblarsi automaticamente, formando così nuovi organi semi-artificiali.
Un altro gruppo di ricerca formato dal dott. Jason Spector del New York Presbyterian Hospital e dal dott. Leon Bellan della Cornell University sta studiando la fattibilità di un'altra possibile soluzione al problema della vascolarizzazione. Osservando la rete di sottilissimi fili intersecati tra loro creata dal comune zucchero filato, i due hanno avuto l'ispirazione giusta per ricreare un diffuso sistema di capillari negli organi artificiali, da collegare poi col sistema cardiocircolatorio dei pazienti trapiantati.
I medici americani hanno realizzato uno zucchero filato particolare, inserendolo all'interno di una resina che si solidificava dopo un giorno: i ricercatori hanno, in seguito, disciolto lo zucchero con acqua e alcol, ottenendo un solido cubo che conteneva al suo interno un fitto reticolato di canali creato dall'espansione dello zucchero lavato via.
Analizzando l'intrico dei canali col microscopio elettronico e con lo scanner si è scoperto che la loro architettura e le loro dimensioni erano del tutto compatibili con quelle dei capillari umani.
A questo punto gli scienziati hanno fatto circolare nella rete di microcanali del sangue di topo contenente particelle fluorescenti e hanno così potuto verificare che il liquido ematico fluiva senza alcuna difficoltà nella nuova struttura.
La scoperta scientifica spinge ora i ricercatori a mettere a punto dei modelli a stampo artificiali, in cui la parete interna di canali creati in laboratorio venga ricoperta da cellule dei vasi sanguigni che siano in grado di sostituire progressivamente e completamente le resine biodegradabili come pareti dell'innovativo sistema microcircolatorio.
Se questa sperimentazione darà i positivi frutti sperati, confermando la sua efficacia e sicurezza, si potrà dotare ogni organo e tessuto sintetico della sua rete di capillari, completamente integrabili e raccordabili con i vasi sanguigni del paziente su cui deve essere impiantato il nuovo parenchima.

18/09/2015 11:13:00 Andrea Sperelli


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