L'assunzione di antibiotici, in particolare i sulfamidici, è associata a un aumento di rischio dell'insorgenza di calcoli renali. A dimostrarlo è uno studio pubblicato sul Journal of the American Society of Nephrology da un team del Children's Hospital di Philadelphia.
Gregory Tasian, principale autore dello studio, commenta: «I nostri risultati suggeriscono che l'esposizione ad alcuni antibiotici per via orale sia un nuovo fattore di rischio per la nefrolitiasi, fattore che può essere modificabile per il 30% dei pazienti che ricevono prescrizioni ambulatoriali inadeguate per antibiotici».
Negli ultimi 30 anni, la prevalenza di calcoli renali è aumentata del 70%, parallelamente al sempre maggiore utilizzo di antibiotici.
I ricercatori hanno valutato i dati di un registro contenente informazioni su 13,8 milioni di pazienti trattati in 641 ambulatori del Regno Unito.
Lo studio ha incluso 25.981 pazienti con calcoli renali e 259.797 soggetti di controllo. Il follow up medio è stato di 5,4 anni.
I soggetti hanno ricevuto prescrizioni di antibiotici in particolare per tosse e tonsillite, infezioni del torace, del tratto respiratorio superiore e delle vie urinarie.
Incrociando i dati di consumo di 12 classi di antibiotici, i ricercatori hanno scoperto un nesso fra il rischio di nefrolitiasi e 5 di queste classi assunte da 3 a 12 mesi prima della data del calcolo renale indice.
Il rischio in eccesso variava dal 27% per le penicilline ad ampio spettro al 133% per i sulfamidici.
Il rischio di calcoli renali per tutte le classi, ad eccezione delle penicilline ad ampio spettro, è rimasto statisticamente significativo per tre o cinque anni dall'esposizione, sebbene i rischi siano andati diminuendo nel tempo.
È probabile che l'effetto sia dovuto alle alterazioni del microbioma intestinale provocate dall'assunzione degli antibiotici.
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