Allo stato attuale, la diagnosi oggettiva di Alzheimer può avvenire soltanto con un'autopsia che identifichi la presenza di placche amiloidi nel cervello. Durante il decorso della malattia, quindi, si può fare una diagnosi potenziale basata su valutazioni non oggettive.
Per farlo si ricorre a test neuropsicologici per la misurazione della memoria, la capacità di risolvere problemi, la capacità di contare, di attenzione e anche di muoversi nello spazio.
Questi test tuttavia hanno il limite di non riuscire a capire se il deficit cognitivo derivi in effetti dall'Alzheimer o da altre malattie con sintomi simili. Dopo un primo screening, i pazienti vengono sottoposti a esami più invasivi come quello del liquor mediante puntura lombare o la PET, che attestano la probabile presenza di beta-amiloide nel cervello.
Una ricerca pubblicata su Brain Communications da un team della Lancaster University ha ora fornito un nuovo possibile approccio per la diagnosi della malattia che si basa sull'ossigenazione cerebrale.
«La malattia di Alzheimer potrebbe essere causata dal fatto che il cervello non viene nutrito in modo adeguato attraverso i vasi sanguigni», sottolinea Aneta Stefanovska, autrice principale dello studio.
Il dottor Bernard Meglič, dell'Università di Lubiana, in Slovenia, coordinatore clinico dello studio, ha affermato: «Il sistema vascolare e il cervello lavorano insieme per garantire che il cervello riceva energia sufficiente. Infatti, il cervello necessita fino al 20% del consumo energetico complessivo del corpo, nonostante contribuisca solo per circa il 2% del peso corporeo».
L'unità neurovascolare (NVU) è costituita da un sistema vascolare collegato ai neuroni tramite cellule cerebrali, chiamate astrociti e garantisce il buon funzionamento di questa operazione.
Con l'utilizzo di sonde elettriche e ottiche, i ricercatori hanno misurato l'attività elettrica e l'ossigenazione del cervello per verificare la funzione dell'unità neurovascolare. Grazie all'elettrocardiogramma, invece, è stata misurata la frequenza cardiaca, mentre una cintura avvolta al torace del partecipante misurava la respirazione.
La misurazione simultanea dell'ossigenazione del sangue, dell'attività elettrica cerebrale, della respirazione e dell'attività elettrica del cuore ha permesso ai ricercatori di catturare ritmi fisiologici e i loro tempi imperfetti. La sincronia fra questi ritmi determina il funzionamento più o meno efficiente del cervello.
È emerso che la frequenza respiratoria media era di circa 13 respiri al minuto per il gruppo di controllo e di circa 17 respiri al minuto per il gruppo affetto da Alzheimer. «In modo del tutto inaspettato, abbiamo anche rilevato che la frequenza respiratoria a riposo è significativamente più alta nei soggetti con malattia di Alzheimer», ha commentato la professoressa Stefanovska. «Questa è una scoperta interessante, a mio parere rivoluzionaria, che potrebbe aprire un mondo completamente nuovo nello studio della malattia di Alzheimer. Molto probabilmente riflette un'infiammazione, forse nel cervello, che una volta individuata può probabilmente essere curata e gli stati gravi di Alzheimer potrebbero essere prevenuti in futuro».
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