Epatite C, il rischio di cancro è quantificabile

Strategia in due fasi consente di prevederne l'insorgenza

È risaputo che l'epatite C sia associata a un maggior rischio di insorgenza del cancro al fegato. Ma fra i pazienti guariti, alcuni sono a maggior rischio di altri, come confermano i risultati di uno studio pubblicato sull'American Journal of Gastroenterology da un team dell'Università di Siviglia coordinato da Javier Ampuero.
«L'infezione cronica da epatite C è una delle malattie del fegato più diffuse al mondo oltre che essere tra le principali indicazioni per il trapianto di fegato. Ma con l'arrivo degli antivirali diretti è stato possibile curare la maggior parte dei pazienti in poche settimane con scarsi effetti avversi, a differenza di ciò che accadeva in passato», scrivono gli autori.
La terapia antivirale ha ridotto le probabilità di complicanze, ma il rischio di carcinoma epatocellulare (HCC) persiste anche dopo una risposta virologica sostenuta (SVR), cioè la negativizzazione dell'HCV-RNA a 12 settimane dal termine del trattamento. «Abbiamo mirato a sviluppare una strategia di facile applicazione da adottare nella pratica clinica per classificare accuratamente il rischio di HCC nei pazienti con virus dell'epatite C dopo SVR», spiega Ampuero.
Il team ha arruolato una coorte di 1.000 pazienti proveniente da 11 ospedali andalusi con SVR post-epatite C, seguendoli fino alla comparsa di HCC, al trapianto di fegato, alla morte o fino a ottobre 2020 con un follow-up minimo di 6 mesi dopo la SVR raggiunta con gli antivirali diretti.
È emerso che l'incidenza di HCC è stata del 5,3%: fibrosi epatica avanzata e cirrosi sono fattori predittivi significativi per identificare i pazienti a rischio più alto di cancro.
«In conclusione, questo studio dimostra che una strategia in due fasi che associa FIB-4, un test semplice e poco costoso che combina i valori di piastrine, ALT, AST e l'età, all'uso del fibroscan e degli ultrasuoni aiuta a stratificare il rischio di HCC nei pazienti con SVR dopo antivirali diretti», concludono gli autori.

Fonte: American Journal of Gastroenterology

16/03/2022 11:20:00 Andrea Sperelli


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