L'infiammazione cronica associata ad asma persistente può rappresentare un motore per l'aterosclerosi, il processo di ostruzione delle arterie che predispone a eventi come l'infarto o l'ictus.
È quanto emerge da uno studio dell'Università del Wisconsin di Madison pubblicato sul Journal of the American Heart Association da Matthew C. Tattersall. La ricerca ha indagato il volume delle ostruzioni che si formano lungo le arterie carotidi, che hanno il compito di irrorare di sangue le varie strutture cerebrali. Nei pazienti con asma cronica le dimensioni delle ostruzioni crescono sempre più se paragonate a quelle di pazienti con asma lieve o senza asma.
I ricercatori hanno preso spunto dai dati dello studio Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA) condotto su poco meno di 7.000 adulti reclutati nel 2000 in 6 diversi luoghi degli Stati Uniti.
Al momento dell'arruolamento, i soggetti non avevano problemi legati a patologie cardiovascolari. Il campione era formato da 5.029 adulti con età media di 61 anni che presentavano fattori di rischio di base per le malattie cardiovascolari e che si sottoponevano a controlli ecografici delle carotidi.
Sono stati quindi presi in esame i soggetti con asma persistente e con asma intermittente. Tutti i volontari hanno effettuato un'ecografia delle arterie carotidee sinistra e destra per individuare eventuali placche aterosclerotiche. Sono stati poi misurati nel sangue marcatori dell'infiammazione come l'interleuchina-6 (IL-6) e la proteina C-reattiva (PCR).
È emerso che fra i soggetti asmatici oltre 2 persone su 3 accusavano la presenza di una placca a carico delle carotidi contro il 49,5% dei soggetti con asma intermittente e una percentuale simile nei non asmatici. Nei pazienti con malattia respiratoria severa, inoltre, le placche erano spesso due.
In pratica, chi soffriva di asma persistente aveva una possibilità quasi doppia di avere una placca carotidea rispetto a chi non aveva l'asma. Maggiori erano anche i valori dei parametri infiammatori.
"I partecipanti con asma persistente avevano livelli elevati di infiammazione nel sangue, anche se la patologia era stata trattata con farmaci, il che evidenzia le caratteristiche infiammatorie dell'asma", commenta Tattersall.
"Questo studio e i suoi risultati rendono ancor più significativo l'approccio multidisciplinare che deve essere alla base del monitoraggio nel tempo della persona con asma, specie se con forme severe”, commenta Giorgio Walter Canonica, Professore di Medicina Respiratoria all'Humanitas University di Milano. “La persona va seguita nella sua interezza, in team integrati che vedano lavorare assieme cardiologo e pneumologo, anche perché l'infiammazione è un fattore presente sempre e comunque nella patologia respiratoria ma come mostrano questi dati può agire sull'intero organismo. Sappiamo che soprattutto nell'asma grave il quadro metabolico può essere complicato da sovrappeso e obesità e che nel tempo un trattamento con derivati del cortisone può favorire l'aumento ponderale e quindi impattare negativamente sul profilo di rischio del paziente”, spiega Canonica. “Per questo occorre puntare su trattamenti mirati, caso per caso, considerando anche l'importanza dell'aderenza alla terapia per la malattia respiratoria come fattore chiave per la prevenzione di complicanze a carico dell'intero organismo".
Fonte: JAHA 2022. Doi: 10.1161/JAHA.122.026644
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