L'aggressività causata dai videogiochi

La violenza virtuale produce alterazioni negative del comportamento

Sangue, battaglie, esplosioni. Si tratta degli ingredienti di molti videogiochi in commercio in questi anni, che attraggono sempre più l'interesse dei più giovani. Il dato preoccupante è che la violenza virtuale può trasformarsi con facilità in comportamenti aggressivi.
«Dato che oltre il 90% dei giovani giocano ai videogames, comprendere i meccanismi psicologici che possono influenzare le loro azioni nella vita reale è importante per aiutare genitori e pediatri a progettare interventi per mitigare gli effetti dei videogiochi», spiegano gli autori di uno studio appena pubblicato su Jama Pediatrics.
Uno dei ricercatori, Craig Anderson della Iowa State University, commenta: «oltre il 90% dei videogiochi classificati E10+, cioè adatti a ragazzi oltre i 10 anni, contengono scene di violenza, spesso raffigurata come giustificata, divertente e senza conseguenze. Ma immagini e suoni violenti possono produrre appiattimento emozionale e accentuazione di comportamenti aggressivi che non se ne vanno se si spegne la consolle».
Purtroppo queste ipotesi si sono trasformate a volte in cruda realtà, come nel caso dei due ragazzini di Detroit che hanno ucciso e bruciato un loro coetaneo sulla falsariga di quanto accade nel videogioco Manhunt2, o come per la strage nel centro commerciale di Omaha, di cui si è reso responsabile uno studente che aveva sviluppato una forma di dipendenza nei confronti del videogioco militare CounterStrike.
I ricercatori americani hanno collaborato con il National Institute of Education di Singapore mettendo a punto uno studio longitudinale triennale che ha coinvolto più di 3mila bambini e adolescenti, di cui il 73 per cento era costituito da maschi. L'età media era di 11,2 anni.
«L'ipotesi di ricerca era che giocare abitualmente ai videogiochi con contenuti violenti porti a un aumento di comportamenti aggressivi nel tempo, con un effetto mediato da modifiche della sfera cognitiva e affettiva», spiega Anderson.
I risultati ottenuti hanno confermato l'ipotesi di partenza secondo cui i videogames violenti producono alterazioni cognitive dell'aggressività indipendenti da fattori quali il sesso, il controllo parentale e l'aggressività iniziale.
«L'effetto è invece attenuato dall'età, nel senso che i più piccoli hanno un maggiore incremento dell'aggressività correlata ai videogiochi violenti rispetto ai più grandi», spiega ancora Anderson. «Questi dati supportano le attuali teorie socio-cognitive sull'aumento dei comportamenti aggressivi mediato dai videogiochi di guerra e di sangue, con effetti generalizzati su tutti i ragazzi, indipendentemente dal paese di nascita o dal modello culturale».
Un'altra ricerca dell'Indiana University School of Medicine di Indianapolis conferma questo tipo di risultati.
Sembra che specialmente i giochi in cui la violenza è maggiormente rappresentata siano in grado di inibire aree cerebrali deputate al controllo delle emozioni. In altre parole avrebbero un effetto disinibitorio su centri di controllo emozionali.
I ricercatori hanno concluso che è sufficiente una sola settimana di videogiochi violenti e in cui viene espressa un'aggressività elevata per arrivare ad inibire l'attivazione della regione frontale inferiore sinistra e la corteccia cerebrale dell'area cingolata anteriore, aree deputate al riconoscimento e al controllo delle emozioni.
Il tutto tornerebbe nella norma al momento della sospensione di questa abitudine. Secondo Yang Wang, coautore della ricerca, ''se i giochi vengono utilizzati per lunghi periodi questi cambiamenti reversibili potrebbero tradursi in mutamenti definitivi”, con conseguenze sulle caratteristiche personologiche dei ragazzi, in altri termini un pattern comportamentale che si ripeta in modo costante e continuo può diventare un tratto personologico che delinea uno stile di identità.
In un precedente studio elettrofisiologico, altri scienziati americani avevano registrato la componente P300 dell'EEG di ragazzi abituati a videogiochi particolarmente efferati, questa componente dell'elettroencefalogramma registra l'impatto emotivo di un particolare stimolo, si è visto che nei ragazzi abituati a giochi particolarmente violenti, la reazione d'allerta registrata con la P300 era minore rispetto ai ragazzi non avvezzi a giochi particolarmente violenti.

Andrea Sperelli


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