Un nuovo approccio tutto incentrato sulle possibilità di comunicazione tra genitori e neonati sembra in grado di abbattere di un terzo le future diagnosi di autismo.
La tecnica si chiama iBASIS-VIPP (Video Interaction to Promote Positive Parenting) e il suo obiettivo è aiutare i genitori a comprendere meglio le peculiarità comunicative dei propri figli. In questo modo si può ottimizzare lo sviluppo sociale e comunicativo dei piccoli, nella fase in cui sono più probabili miglioramenti concreti e duraturi.
Uno studio realizzato su 103 bambini dell'australiano Telethon Kids Institute pubblicata su Jama Pediatrics indica la possibilità di ridurre di un terzo le diagnosi di autismo per i bambini a rischio grazie alla terapia iBASIS-VIPP.
Al momento, le terapie iniziano nel momento in cui viene confermata la diagnosi di autismo, che però arriva non prima del terzo anno di vita. Intervenire prima aumenterebbe le probabilità di successo, questo è un dato rilevato da molte ricerche negli ultimi anni.
La nuova strategia punta a creare attorno al bambino un ambiente sociale che lo aiuti a imparare nel modo che gli è più congeniale. Andrew Whitehouse, coordinatore della ricerca, spiega che gli approcci terapeutici classici “puntano piuttosto a sostituire i comportamenti atipici individuati nei bambini con quelli che si osservano in bambini privi di disturbi dello sviluppo”.
Il protocollo iBASIS-VIPP si basa sull'intervento di un terapista che viene aiutato dall'utilizzo di supporti video, sia per mostrare esempi positivi di interazioni adulto/bambino, sia per registrare quelle che emergono tra genitori e piccoli pazienti durante le sedute, così da poterle riesaminare in seguito per individuare gli aspetti su cui lavorare.
“Anche i bambini che nel nostro studio sono rimasti al di sotto della soglia di sintomi necessaria per una diagnosi hanno mostrato comunque delle difficoltà nello sviluppo - chiarisce Whitehouse - ma il nostro approccio, che punta a lavorare con le differenze di sviluppo uniche di ogni bambino, e non a cercare di eliminarle, ha dimostrato comunque di poter supportare efficacemente il loro sviluppo nei primi anni di vita. È la prima volta che un intervento preventivo mostra un simile effetto sulle probabilità di diagnosi”, conclude l'esperto australiano. “Questo è un momento decisivo per la ricerca pediatrica. Un passo in avanti fondamentale in quella che speriamo si riveli un'opportunità unica per sviluppare un nuovo approccio clinico, che punti a interventi estremamente precoci sui bambini che mostrano i primi possibili segni comportamentali dell'autismo”.
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