Oltre alle patologie cardiovascolari, ai disturbi del sonno e persino le crisi epilettiche, i dispositivi indossabili potrebbero aiutare anche a rilevare e prevedere le riacutizzazioni delle malattie infiammatorie intestinali (Ibd).
Lo dimostra uno studio condotto dai ricercatori dell'Icahn School of Medicine presso il Mount Sinai di New York e pubblicato lo scorso 16 gennaio su Gastroenterology, evidenziando come la tecnologia indossabile può consentire un monitoraggio continuo della malattia tramite dispositivi commerciali ampiamente disponibili.
Spiega il primo autore del lavoro, Robert Hirten, Direttore Clinico dell'Hasso Plattner Institute for Digital Health, professore associato di Gastroenterologia, Intelligenza Artificiale e Salute Umana presso l'Icahn School of Medicine del Mount Sinai: “Le attuali metodologie di monitoraggio della malattia si basano sull'interazione diretta dei pazienti con i medici, attraverso visite in studio, esami del sangue o delle feci o tramite colonscopia. Questi metodi valutano la malattia in un momento specifico e spesso risultano invasivi o scomodiâ€.
“Il nostro studio - continua - dimostra che dispositivi indossabili comunemente utilizzati, come Apple Watch, Fitbit e Oura Ring, possono essere strumenti efficaci per monitorare malattie infiammatorie croniche come l'Ibd. Ciò apre la possibilità di monitorare la malattia da remoto, al di fuori delle strutture sanitarie, in modo continuo e, potenzialmente, in tempo realeâ€.
Nello studio i ricercatori del Mount Sinai hanno arruolato più di 309 persone provenienti da 36 stati degli Usa, affetti dai due principali tipi di Ibd: colite ulcerosa o malattia di Crohn. I partecipanti hanno indossato dispositivi, risposto a sondaggi giornalieri sui sintomi e fornito campioni di sangue e feci per valutare l'infiammazione.
Gli studiosi hanno scoperto che i modelli circadiani della variabilità della frequenza cardiaca (un indicatore della funzione del sistema nervoso), insieme alla frequenza cardiaca, all'ossigenazione e all'attività quotidiana, tutti misurati dai dispositivi indossabili, risultavano significativamente alterati in presenza di infiammazione o sintomi.
I marcatori fisiologici potevano rilevare l'infiammazione anche in assenza di sintomi e distinguere se i sintomi erano causati da infiammazione attiva nell'intestino. Inoltre, queste metriche misurate dai dispositivi indossabili cambiavano fino a sette settimane prima dello sviluppo delle riacutizzazioni.
I ricercatori ora stanno provando ad applicare approcci simili ad altre malattie infiammatorie croniche, come l'artrite reumatoide, e stanno sfruttando l'intelligenza artificiale per sviluppare algoritmi basati sui dati dei dispositivi indossabili per prevedere le riacutizzazioni su base individuale.
Al di là di tutto però, secondo Furio Colivicchi, past president Anmco (Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri) e direttore Cardiologia clinica e riabilitativa San Filippo Neri di Roma è necessario capire come interpretare poi i dati che forniscono.
“Questi dispositivi oggi in commercio non sono registrati come dispositivi medici, ma sono usati come se lo fosseroâ€, precisa Colivicchi. “Questa situazione necessita una valutazione attenta del loro ruolo nella prevenzione e di come gestire i dati che ci rimandano. Ormai hanno raggiunto un buon livello di affidabilità e sono potenzialmente una risorsa per la clinica, ma c'è il nodo, attuale, dell'interpretazione del risultato. Se segnalano un'aritmia, una irregolarità del battito cardiaco - che poi è l'aspetto maggiormente studiato rispetto a questi dispositivi - ci troviamo di fronte alla domanda: ora che faccio? Chi chiamo?â€.
Secondo l'esperto, il problema si pone di fronte a una persona che di fronte a un alert segnalato dai device indossabili non sa cosa fare e si corre il rischio che si rechi al Pronto soccorso. “Da tempo - prosegue il cardiologo - ci confrontiamo con apparecchi automatici che misurano, ad esempio, la pressione e capita che ci siano irregolarità nel dato. Nel tempo ne stanno arrivando di sempre più efficienti, ma il tema è cosa ne vogliamo fare. In altri Paesi a questi dispositivi indossabili è associato un contratto di gestione dell'emergenza. Ma parliamo di sistemi sanitari diversi dal nostroâ€.
“Quindi - conclude Colivicchi - siamo d'accordo che nel futuro avranno sempre più spazio, recenti studi anche italiani hanno accertato come alcuni possano davvero dare ottimi risultati in termini di diagnostica. Ma dobbiamo anche stare attenti ai falsi allarmi: possiamo essere di fronte ad un evento parossistico che poi scompare, oppure dobbiamo gestire delle criticità . Oggi il passo da fare è capire come aiutare chi li indossa a non sentirsi solo davanti ad una possibile emergenzaâ€.
Fonte: AboutPharma
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