Schizofrenia, il ruolo del gene Arc

Il gene è associato alla plasticità cerebrale

Il gene Arc è correlato in maniera determinante ai meccanismi di insorgenza della schizofrenia. Lo ha stabilito una ricerca condotta da Francesco Papaleo dell'Istituto Italiano di Tecnologia in collaborazione con i colleghi dei National Institutes of Health (NIH).
Lo studio, pubblicato su Cell Reports, apre le porte al possibile sviluppo di test genetici per la diagnosi precoce e di trattamenti personalizzati. Chi è colpito da schizofrenia non vede pregiudicata soltanto la qualità della propria vita a livello mentale. I pazienti infatti muoiono in media 12-15 anni prima.
Per diagnosticare la malattia, i medici finora hanno fatto riferimento a parametri specifici elencati nel DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disordini mentali). Sono tre le categorie di disturbi che segnalano la presenza della malattia: sintomi positivi, ovvero allucinazioni, attacchi psicotici; sintomi negativi, ovvero difficoltà di interazione sociale e anedonia; infine, deficit cognitivi.
Tuttavia, tali sintomi sono estremamente variabili da individuo a individuo, tanto che la schizofrenia può essere vista come uno spettro di patologie piuttosto che un'unica malattia.
Il team di Papaleo ha dimostrato per la prima volta su modello murino che riducendo l'espressione del gene Arc si manifestano diverse anomalie comportamentali, fra cui deficit cognitivi selettivi, disfunzioni sociali, perdita di abilità senso-motorie, ipersensibilità ad alcuni farmaci stimolanti come le anfetamine.
Arc si rivela importante anche perché regola il sistema dopaminergico cerebrale. La soppressione del gene provoca una riduzione dei livelli di dopamina nella corteccia prefrontale e un eccesso nel tessuto striatale, presente nelle zone più interne del cervello. Si tratta dello stesso squilibrio accertato nei pazienti affetti da schizofrenia.
I ricercatori hanno anche dimostrato che la somministrazione di stimolatori di dopamina nella corteccia prefrontale ha l'effetto di far recuperare ai soggetti le normali capacità cognitive. La somministrazione di inibitori nel tessuto striatale ripristina invece le funzioni senso-motorie.
La scoperta dei ricercatori italiani consente di approcciarsi in maniera diversa alla malattia, prefigurando la possibilità futura di una diagnosi precoce grazie a test genetici e la somministrazione di farmaci in situ da affidare a nanoparticelle ingegnerizzate, così da essere indirizzate in zone specifiche del cervello.

13/09/2016 11:10:00 Andrea Piccoli


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