Alcuni farmaci utilizzati in caso di Hiv sembrano in grado di contrastare l'Alzheimer. A dimostrarlo è uno studio pubblicato su Pharmaceuticals da un team del Sanford Burnham Prebys di San Diego coordinato da Jerold Chun.
I farmaci che mostrano una correlazione con una ridotta incidenza dell'Alzheimer sono gli inibitori della trascrittasi inversa, usati comunemente nel trattamento dei retrovirus.
Lo studio si basa su scoperte precedenti dello stesso team pubblicate nel 2018 su Nature, che avevano descritto come la ricombinazione genica somatica nei neuroni potesse produrre migliaia di nuove varianti genetiche all'interno dei cervelli affetti da Alzheimer.
Per la prima volta è emerso come il gene legato all'Alzheimer - APP - venga modellato utilizzando la stessa trascrittasi inversa (RT) presente nell'HIV. L'Hiv e altri virus dipendono dalla trascrittasi inversa per infettare le cellule dell'ospite, quindi i farmaci che bloccano l'attività dell'enzima RT sono diventati parte comune delle terapie per mantenere sotto controllo l'HIV.
L'aspetto interessante per i ricercatori è che il cervello sembra possedere delle proprie RT, diverse da quelle presenti nei virus. L'ipotesi è che l'inibizione delle RT cerebrali con i farmaci antiretrovirali possa aiutare i malati di Alzheimer.
Il team ha analizzato dati medici anonimizzati con richieste di prescrizione da oltre 225.000 pazienti di controllo e positivi all'Hiv. Ne è emersa un'associazione statisticamente significativa fra l'esposizione agli inibitori delle RT e una ridotta incidenza e prevalenza di Alzheimer.
"Questo metodo ci permette di osservare come un farmaco possa agire su una vasta popolazione di pazienti", ha spiegato Chun, che ha ricordato comunque che i farmaci assunti dai pazienti erano progettati per contrastare l'attività della RT nell'HIV e probabilmente hanno avuto solo un effetto limitato su molte diverse possibili forme dell'enzima attivo nel cervello.
"Il prossimo passo è identificare quali versioni delle trascrittasi inverse sono attive nel cervello affetto da Alzheimer, in modo da poter scoprire trattamenti più mirati", ha dichiarato Chun. "Allo stesso tempo, dovrebbero essere intrapresi studi clinici prospettici sugli inibitori delle RT attualmente disponibili su persone con Alzheimer in fase iniziale".
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