La dislessia ha origine genetica. L'ipotesi è confermata da una serie di studi, che rilevano nei gemelli omozigoti un tasso di concordanza del 65 per cento, una percentuale che scende al 35 nel caso di gemelli eterozigoti, confermando quindi una familiarità del 35-40%.
Anche un gruppo di ricercatori dell'Istituto Scientifico “Eugenio Medea - La Nostra Famiglia” di Bosisio Parini e della facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, guidati dalla Dr.ssa Cecilia Marino dell'IRCCS Medea, ha confermato - studiando 121 famiglie di bambini italiani con dislessia - l'origine genetica della malattia.
La scoperta è pubblicata dalla rivista scientifica Journal of Medical Genetics. Lo studio ha almeno due importanti implicazioni. La prima è la conferma di un dato recentemente suggerito da un gruppo di ricerca anglosassone, che aveva individuato in bambini americani il coinvolgimento del cromosoma 15 nella dislessia.
La seconda implicazione è che quest'area del genoma risulta in grado di influenzare la suscettibilità alla dislessia indipendentemente dalle caratteristiche culturali dei diversi paesi in cui un bambino può trovarsi a vivere. Pertanto, indipendentemente dal grado di difficoltà grammaticali e dalle regole di lettura della lingua a cui un bambino viene esposto, l'area cromosomica indagata dagli studiosi sembra essere tra i “colpevoli” del disturbo.
Gli studi condotti negli ultimi anni su famiglie di dislessici e sui gemelli confermano in buona misura la predisposizione genetica della dislessia evolutiva. Un risultato concorde fra i vari studi è infatti l'aumentata probabilità per un bambino che ha un genitore o un parente stretto con problemi di lettura di avere a sua volta problemi nell'imparare a leggere.
La dislessia è una patologia in cui bambini dotati di normale intelligenza incontrano difficoltà di lettura e scrittura di gravità variabile, dovute a un problematico utilizzo dei fonemi, cioè dei suoni semplici, i veri e propri “mattoni” costitutivi delle parole. Questa condizione, che colpisce circa il 5% degli individui, è in parte determinata da fattori ambientali e in parte genetici, tanto da essere trasmessa all'interno delle famiglie. La base genetica della dislessia, al pari di altre condizioni cliniche complesse come l'ipertensione o la depressione, è tuttavia assai difficile da studiare, perché concorrono probabilmente più geni a svolgere un ruolo causale e ciascuno di essi non è da solo sufficiente a determinare la malattia.
“Questo risultato avrà futuri sviluppi - fa notare la Dr.ssa Marino - la ricerca proseguirà nell'intento di identificare in modo ancor più accurato sul cromosoma 15 i geni alterati, cioè le unità più piccole codificanti del genoma umano, coinvolti nella dislessia. La conoscenza delle alterazioni genetiche può aiutare a chiarire i meccanismi che determinano la dislessia".
Quali sono quindi le nuove prospettive della ricerca in questo campo? "Un'importante sfida nell'immediato futuro - continua la Marino - è rappresentata dal riuscire a comprendere esattamente quali componenti della dislessia siano determinate dai geni identificati. Questo significa anche comprendere quali funzioni di percezione e di analisi psicologica sono influenzate dalle varianti genetiche identificate dal nostro lavoro: riteniamo che la dislessia possa essere la conseguenza di alcuni errori di percezione dei segni grafici propri della scrittura, di associazione tra tali segni e i suoni che ad essi corrispondono, o di un difetto della capacità attentiva. E percezione ed associazione tra simboli e suoni sono in buona misura influenzate da fattori genetici".
L'unitarietà dei processi che conducono alla dislessia, dimostrata su base genetica dal gruppo dell'Istituto Scientifico Eugenio Medea, è a sua volta in accordo con alcuni studi di funzionalità dell'encefalo precedentemente svolti al San Raffaele, nei quali si mostrava che adulti con dislessia appartenenti a culture diverse mostravano le stesse modalità di attivazione cerebrale anomala durante la lettura di parole relative alle loro specifiche culture linguistiche.
“Sappiamo che questa è una malattia complessa, in cui fattori genetici ed ambientali contribuiscono ad aumentare la possibilità che si manifesti - commenta il Prof. Marco Battaglia, della facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Tale conferma è dunque estremamente preziosa, soprattutto considerando che siamo in un campo, quello della genetica dei disturbi complessi, in cui avere una convergenza di dati tra diversi laboratori di ricerca può risultare talvolta difficile”.
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