L'anticorpo monoclonale prasinezumab sembra in grado di rallentare la progressione dei segni motori nei pazienti colpiti da Parkinson. A evidenziarlo è uno studio dell'Università di Exeter pubblicato su Nature Medicine.
Prasinezumab agisce legando l'alfa-sinucleina aggregata, consentendone la degradazione. L'alfa-sinucleina patologica è considerata il segno distintivo della malattia di Parkinson e diverse linee di evidenza suggeriscono un ruolo degli aggregati di alfa-sinucleina, e della loro propagazione tra i neuroni, nella patogenesi della progressione della malattia di Parkinson.
Nello studio di fase 2 Pasadena non è stato raggiunto l'endpoint primario, ma alcuni soggetti trattati con il farmaco hanno comunque mostrato una progressione più lenta dei segni motori rispetto ai partecipanti trattati con placebo.
«La somma Mds-Updrs delle parti I + II + III è una misura globale della malattia di Parkinson, compresi i segni motori valutati dai medici (Parte III) e i segni motori (Parte II) e non motori (Parte I) riportati dai pazienti», spiegano gli autori, guidati da Gennaro Pagano. «Sebbene non siano state riscontrate differenze nei punteggi Mds-Updrs Parte I e II nello studio Pasadena, i partecipanti trattati con prasinezumab hanno mostrato una progressione più lenta dei segni motori sulla scala Mds-Updrs Parte III. Abbiamo quindi ipotizzato - proseguono i ricercatori - che prasinezumab potrebbe mostrare un effetto maggiore nelle sottopopolazioni con malattia a rapida progressione, come misurato da Mds-Updrs Parte III, rispetto alle sottopopolazioni a progressione più lenta, perché ci si aspetta che una maggiore progressione (con una variabilità comparabile della progressione) aumenti il rapporto segnale-rumore (grado di variazione nel tempo) e la probabilità di rivelare un potenziale effetto del trattamento. Il protocollo Pasadena iniziale ha incluso sei sottopopolazioni primarie prespecificate e nove sottopopolazioni esplorative prespecificate, definite da fattori noti per essere associati a una progressione più rapida, come l'uso di inibitori Mao-B al basale (rispetto allo stadio naïve al trattamento), lo stadio 2 di Hoehn e Yahr (rispetto allo stadio 1) e i fenotipi maligni diffusi (rispetto ai fenotipi maligni non diffusi)», specificano gli autori.
Nell'analisi il team di Pagano ha descritto l'effetto di prasinezumab sulla progressione della malattia in base ai punteggi Mds-Updrs Parte I, II e III, concentrandosi su: a) la sottopopolazione che assumeva dosi stabili di inibitori Mao-B al basale; b) i pazienti con altri indicatori prespecificati di progressione più rapida.
«In questa analisi esplorativa dello studio Pasadena, abbiamo riscontrato un effetto coerente di prasinezumab in sottopopolazioni predefinite in rapida progressione, con i partecipanti trattati con prasinezumab che hanno mostrato un minore aumento (peggioramento) di Mds-Updrs Parte III rispetto ai partecipanti trattati con placebo», riportano gli autori. «L'effetto di prasinezumab sul rallentamento della progressione dei segni motori (Mds-Updrs Parte III) è stato maggiore in quelle in rapida progressione (per esempio, partecipanti con fenotipi maligni diffusi o che assumevano inibitori Mao-B al basale)».
L'analisi mostra quindi che prasinezumab potrebbe ridurre la progressione motoria in misura maggiore nei soggetti con malattia di Parkinson a progressione più rapida.
Fonte: Nat Med. 2024 Apr 15. doi: 10.1038/s41591-024-02886-y. Epub ahead of print.
Nature Medicine
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