L'analisi di biomarcatori specifici potrebbe favorire la sospensione dei farmaci in caso di epatite B cronica. È ciò che emerge dai dettagli di un caso clinico che ha per protagonista una donna curata a Pisa e affetta da epatite B cronica HBeAg negativa, che dopo anni di terapia antivirale
ha potuto interrompere senza rischi il trattamento.
Trent'anni fa, la dott.ssa Maurizia Brunetto dell'Azienda ospedaliero-universitaria pisana aveva scoperto il HBV HbeAg difettivo, causa della forma più diffusa di epatite cronica B che conta nel mondo 20 milioni di casi.
Ora rivela anche il ruolo dei nuovi biomarcatori per la gestione della cura dell'infezione cronica da virus dell'epatite B. La malattia può essere efficacemente controllata grazie agli analoghi nucleotidici che bloccano la replicazione del virus. In tal modo, il paziente diventa un portatore sano e inattivo.
La terapia ha però un costo annuale che va dai 5000 agli 8000 euro, oltre che un impatto sulla qualità della vita del soggetto. Oggi tuttavia, grazie alla misura ripetuta di una combinazione di nuovi biomarcatori sierologici, è possibile identificare i pazienti senza cirrosi epatica per i quali la terapia può essere sospesa senza il rischio di recidive o di riattivazione del virus.
Stando alle stime, circa il 10% dei pazienti trattati da almeno 3-4 anni può raggiungere livelli di biomarcatori virali così bassi da poter sospendere la terapia con esito positivo.
La donna curata in questo modo aveva contratto il virus a 20 anni e per oltre 30 era stata curata con interferone prima e con i nuovi farmaci in un secondo momento. Sono ormai 3 anni che la donna, ora 60enne e negativa al virus, ha potuto sospendere l'assunzione dei farmaci.
Le informazioni di medicina e salute non sostituiscono
l'intervento del medico curante
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