C'è una speranza concreta di guarigione per i pazienti colpiti da cancro al polmone non a piccole cellule con mutazione del gene Alk. Il farmaco sperimentale lorlatinib, un inibitore della tirosin-chinasi, mostra una riduzione del rischio di progressione o di morte dell'81%, e il 60% dei pazienti sopravvive per 5 anni senza progressione della malattia.
I risultati mostrano quindi una differenza nettissima con il farmaco di riferimento crizotinib, con il quale solo l'8% dei pazienti riesce a raggiungere i 5 anni di sopravvivenza senza progressione della malattia. Lo studio è stato condotto tra l'11 maggio 2017 e il 28 febbraio 2019 in 23 Paesi in tutto il mondo: 296 pazienti maggiorenni sono stati assegnati casualmente al gruppo lorlatinib (149) o crizotinib (147).
Il tumore al polmone avanzato non a piccole cellule, o Nsclc (non-small cell lung cancer) è la forma più comune di carcinoma polmonare. Rappresenta l'85-90% dei casi, ma solo nel 3-5% di essi è presente la proteina di fusione Eml4-Alk.
La mutazione colpisce soprattutto pazienti giovani con meno di 55 anni e spesso non fumatori. L'evoluzione è molto rapida, entro 2 anni dalla diagnosi circa il 25-40% può sviluppare metastasi cerebrali. Le proteine tirosin-chinasi (Tki) sono enzimi che regolano diversi processi cellulari. Alcune mutazioni possono, influenzandone l'attività , portare a leucemia e altri tipi di cancro. Lorlatinib inibisce questo processo.
"La molecola ha già ricevuto pubblicazioni nel 2020 e nel 2023, e ha già dimostrato di essere molto più efficace nel controllo della malattia rispetto a crizotinib, il riferimento di prima generazione", spiega Filippo de Marinis, direttore divisione di Oncologia toracica all'Istituto europeo di Oncologia (Ieo) di Milano, Presidente Aiot (Associazione italiana di oncologia toracica) e membro dello Steering committee Crown. "Il dato è decisamente importante rispetto al controllo dell'encefalo, sede dove le metastasi vanno abitualmente. A cinque anni il 92% dei pazienti non è ancora progredito a quel livello, rispetto al 20% dei pazienti trattati con crizotinib".
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