Un nuovo biomarcatore misurabile nel sangue, la proteina acida fibrillare gliale (Gfap), permette di prevedere la progressione della disabilità causata dalla sclerosi multipla. A identificarlo il gruppo di ricerca guidato da Jens Kuhle, direttore del Centro Sclerosi Multipla dell'Ospedale Universitario di Basilea, che studiando gli astrociti - cellule del sistema nervoso centrale che svolgono un ruolo chiave nei processi degenerativi della sclerosi multipla - ha scoperto che il livello nel sangue della Gfap aumenta quando gli astrociti sono attivati o danneggiati. Il gruppo ha inoltra dimostrato che livelli elevati di Gfap nel sangue possono indicare sia la progressione attuale che futura della malattia. I risultati dello studio condotto dai ricercatori dell'Università di Basilea sono stati pubblicati sulla rivista Jama Neurology.
In particolare lo studio di coorte - i cui dati erano provenienti, tra l'altro, dalla Swiss Multiple Sclerosis Cohort - è stato condotto su 355 pazienti e 259 controlli sani (che hanno contribuito rispettivamente con 737 e 485 campioni di siero). Dall'analisi dei dati sono emersi punteggi elevati di Gfap (corretti per i fattori confondenti età , sesso e indice di massa corporea), che hanno identificato l'attuale progressione della malattia ed erano associati a futuri progressione della malattia ma non con infiammazione acuta. Inoltre, dal lavoro è emerso come l'associazione dei livelli della catena leggera del neurofilamento (NfL) (altro biomarcatore della malattia neurodegenerativa) era meno pronunciata con la progressione, mentre aumentava durante la fase di ricaduta.
Il gruppo di ricerca guidato da Kuhle ha così presentato un secondo biomarcatore in grado di supportare le decisioni terapeutiche nella sclerosi multipla. L'anno scorso aveva dimostrato infatti che alcuni pazienti in fase iniziale di malattia e con un decorso apparentemente stabile avevano livelli elevati di NfL, un indicatore di danno neuronale. Queste persone avevano anche una probabilità significativamente maggiore di presentare sintomi causati dalla sclerosi multipla nell'anno successivo. In definitiva NfL può prevedere sensibilmente l'attività della malattia in una fase iniziale, permettendo di trattare i pazienti precocemente, in modo più mirato e proattivo.
Rispetto a NfL, il marcatore ematico Gfap consente di trarre conclusioni su un diverso aspetto della complessa fisiopatologia della sclerosi multipla. Sebbene, infatti, l'aumento dei valori ematici di NfL indichi un danno neuronale, la GfapP nel sangue indica specificamente processi patologici cronici in cui sono coinvolti gli astrociti e che contribuiscono alla graduale e progressiva disabilità . “Gfap e NfL quindi si completano a vicendaâ€, afferma Kuhle. “Possono aiutarci a rendere la terapia per la sclerosi multipla più personalizzata e lungimiranteâ€. Questi risultati della ricerca sui biomarcatori rappresentano un grande passo avanti sia per il monitoraggio e la prognosi della potenziale terapia, sia per la ricerca sulle origini della malattia.
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