Lunghe attese dei pazienti spesso frustrate dalla mancanza cronica di organi da trapiantare. La situazione però potrebbe cambiare anche grazie a un nuovo approccio sperimentato con successo su un bambino di 8 anni, che nel marzo scorso è stato sottoposto a un trapianto di rene particolare.
Il rene è stato prelevato dalla madre, che tuttavia risultava incompatibile sia per il gruppo sanguigno sia per gli anticorpi. Dopo 8 mesi, però, il bambino sta bene e mostra una funzionalità renale nella norma.
Come è stato possibile? Grazie a un nuovo protocollo del Centro Trapianti di rene dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, le persone affette da grave insufficienza renale potrebbero trovare nuovi motivi di speranza.
A solo un anno dalla nascita il bimbo ha cominciato la dialisi perché i suoi reni non erano in grado di svolgere la loro tipica funzione di filtraggio. Il primo trapianto da donatore fallisce per l'insorgenza di una trombosi, una conseguenza abbastanza frequente nei trapianti pediatrici. La situazione si complica ulteriormente perché il bambino sviluppa una immunizzazione che lo rende incompatibile con il 90 per cento dei possibili donatori.
I medici di Pisa cercano allora una strada alternativa, il trapianto da donatore incompatibile.
La prima difficoltà da superare era relativa alla fisicità del bambino, che pesa solo 16 chili. Di conseguenza il volume di sangue era insufficiente a perfondere il rene “adulto†ricevuto. Il rene di una persona adulta ha bisogno di circa 1200-1500 millilitri di sangue al minuto, mentre la volemia del bambino era pari a 800 millilitri. I bambini, inoltre, di norma hanno una pressione sanguigna bassa, mentre il rene di un adulto ha bisogno di una pressione normale. Senza considerare la difficoltà “fisica†di inserire un rene “grande†nell'addome di un bambino e quella di ripristinare la funzionalità della vescica, che in pratica non aveva mai lavorato veramente e si era atrofizzata.
L'altra grande difficoltà era data appunto dall'incompatibilità di base del donatore. Il prof. Ugo Boggi, direttore dell'Unità operativa di Chirurgia Generale e Trapianti nell'Uremico e nel Diabetico, spiega al Corriere della sera: “grazie alla disponibilità di alcune nuove terapie è oggi possibile 'condizionare' un potenziale ricevente ad accettare un organo altrimenti incompatibile. Il processo di condizionamento è meglio applicabile a un trapianto da donatore vivente per il fatto che si tratta di un intervento programmabile (mentre quello da donatore cadavere ha un tempistica imprevedibile e gli effetti del condizionamento non si mantengono a lungo termine). Si tratta di terapie farmacologiche, aggiuntive rispetto ai protocolli antirigetto standard (comunque necessari), che bloccano la produzione di nuovi anticorpi e di trattamenti di rimozione degli anticorpi già presenti. Questi ultimi si basano su procedure di plasmaferesi o plasma-filtrazione con filtri specifici. Grazie a queste complesse strategie mediche è possibile abbassare il livello degli anticorpi (naturali o acquisiti) fino ad un livello che evita il rigetto. Successivamente si instaura un fenomeno, chiamato 'adattamento', per cui il ricevente si adatta alla presenza dell'organo incompatibile. Ovviamente l'organo può ancora essere rigettato in base a quei meccanismi che possono intervenire in qualsiasi trapianto. Persiste inoltre un rischio maggiore di perdita dell'organo per rigetto umorale, rispetto a chi riceve un organo compatibileâ€.
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