L'assenza della diagnosi genetica negli adulti con sindrome di Dravet - una forma rara e complessa di epilessia - è uno dei primi e importanti ostacoli che i pazienti affrontano nel loro percorso di cura. E purtroppo non l'unico come racconta in un'intervista ad AboutPharma Francesca Bisulli, professoressa dell'Università di Bologna e direttore del programma epilessia Irccs Istituto delle scienze neurologiche di Bologna. “La sindrome di Dravet è legata a una mutazione del canale del sodio” precisa l'esperta. “Ancora oggi vediamo persone tra i 30 e 40 anni che non hanno beneficiato della diagnosi genetica (perché quando erano bambini non era disponibile), che di conseguenza ricevono terapie sbagliate. Come i farmaci che bloccano il canale del sodio che aggravano il quadro clinico”.
Un altro punto critico nel patient journey delle persone con sindrome di Dravet è la transizione dall'età pediatrica a quella adulta, con conseguente cambio di paradigma della presa in carico. Una differenza molto netta, che spesso, come racconta Bisulli, porta le persone affette da questa forma di epilessia a rimanere in carico al servizio di neuropediatria. Racconta l'epilettologa: “Di recente abbiamo fatto una survey da cui è emersa la paura dei pazienti di transitare all'ambulatorio dell'età adulta per tantissime ragioni, purtroppo comprensibili”.
“La presa in carico del bambino - continua - utilizza un approccio olistico, per cui il neuropediatra si occupa di gestire tutti gli aspetti: dalla scuola, all'inserimento nell'ambiente lavorativo, alla famiglia, fino alle comorbidità. La neurologia dell'adulto invece non è strutturata in questo modo. I pazienti non si sentono accolti e, come è emerso dalla survey, spesso abbandonano il servizio”.
Le conseguenze di questa presa in carico non ottimale sono negative sia sul piano terapeutico sia assistenziale. Spesso infatti gli adulti transitano da uno specialista all'altro e possono ricevere terapie inadeguate con effetti collaterali che hanno un impatto addirittura maggiore delle stesse crisi. O ancora possono mancare le competenze adeguate per gestire le problematiche neurologiche associate alle crisi, caratteristiche di questa forma di epilessia.
Proprio per colmare tutte queste lacune gli esperti stanno lavorando per migliorare la “transition”. “La Lega Italiana contro l'epilessia ha istituito una commissione dedicata alla transizione” afferma Bisulli. “Il primo passo è mappare il processo a livello nazionale per comprenderne l'eterogeneità e guardare anche a modelli virtuosi messi in pratica in altri Paesi. Il tutto per cercare di creare un modello italiano, che abbia almeno alcuni punti fermi validi per tutti. Il passo successivo sarà individuare gli elementi da cambiare e su cui bisogna necessariamente dialogare con le istituzioni”.
A servire ricorda Bisulli, non è però solo il sostegno economico, ma anche strutture adeguate: “Una persona con sindrome di Dravet - conclude - non può aspettare in sala d'attesa insieme ad altri adulti, ma ha bisogno di spazi adeguati. L'ambulatorio poi dovrebbe essere organizzato in modo tale che non sia il paziente a girare, ma gli specialisti. Da ultimo servono letti per i caregiver, quando le persone con questa forma complessa di epilessia devono essere ricoverati”.
La sindrome di Dravet è un'encefalopatia epilettica e dello sviluppo. Una tra le forme più gravi e rare di epilessia, caratterizzata dalla resistenza ai farmaci anticrisi che, come racconta Bernardo Dalla Bernardina, Direttore Scientifico Centro ricerca epilessie dell'età pediatrica (Crep), U.O.C. di Neuropsichiatria Infantile, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, “esordisce nel primo anno di vita e a tutt'oggi, nonostante i farmaci a disposizione, nella maggioranza dei casi persiste anche in età adulta”.
“Per anni - continua l'esperto - è stata considerata una forma di epilessia severa, associata a molteplici comorbidità ritenute in gran parte una conseguenza delle crisi epilettiche. Recentemente invece è stato dimostrato, sia in modelli animali sia nella pratica clinica, che comorbidità ed epilessia sono entrambe dovute a una stessa causa, cioè una mutazione del gene SCN1A, che controlla i canali del sodio”. La mutazione insorge nella maggioranza dei casi “de novo” nei bambini, mentre in una piccolissima parte è ereditata dai genitori, che possono essere paucisintomatici.
Come spiega ancora il neuropsichiatra, le crisi associate alla sindrome di Dravet, esordiscono nel primo anno di vita con un picco al sesto/settimo mese di vita e in oltre il 50% sono scatenate dalla febbre. Possono essere generalizzate o più frequentemente unilaterali. Queste ultime sono manifestazioni parossistiche motorie, per lo più miocloniche (scosse ritmiche) che interessano solo un emisoma. Il lato interessato può variare in occasione delle diverse crisi.
Continua Dalla Bernardina: “Tendono a realizzare stati di male, cioè crisi che durano a lungo, dai 15 ai 60 minuti. Poiché più durano maggiore è il rischio che si verifichino ulteriori complicanze dal punto di vista neurologico, è importante cercare di interromperli con trattamenti in acuto per via rettale od orale.
Nelle forme più gravi si riscontrano anche altri tipi di crisi: “brevi assenze” o manifestazioni definite “mioclonie massive”, cioè scosse isolate che interessano tutto il corpo, ma che ricorrono frequentemente nella giornata. In altri casi si hanno stati non convulsivi, durante i quali la persona appare confusa e scarsamente contattabile.
A partire dal secondo o terzo anno di vita compare anche un declino cognitivo significativo. Non si tratta di una regressione, per cui il bambino non perde le competenze acquisite fino a quel momento, ma si manifesta una significativa compromissione sul piano della progressione delle acquisizioni. “Il ritardo cognitivo, pertanto, aumenta con l'età - aggiunge Dalla Bernardina - spesso è severo, alcune volte moderato, ma è presente in tutti i soggetti. È presente anche una compromissione del linguaggio, anch'essa variabile: molti bambini sono a-verbali, altri adoperano la parola frase, altri ancora alcune parole, ma non costruiscono un linguaggio comunicativo.
Progressivamente, soprattutto nell'adolescenza, si ha anche una compromissione dell'attività motoria che, nei casi più gravi, comporta la perdita dell'autonomia. Infine, dal punto di vista del comportamento, un disturbo comune a tutti i bambini piccoli è una iperattività con un disturbo dell'attenzione”.
Caratteristica della sindrome di Dravet è la sua variabilità nel tempo, perché con il passare degli anni le crisi tendono a ridursi spontaneamente o a rispondere meglio alla terapia e l'epilessia quasi scompare, mentre la compromissione neurologica, comportamentale e cognitiva tendono ad aumentare, sia come numerosità dei deficit sia come severità.
La causa di tale variabilità non è certa, ma l'esperto ritiene che sia sicuramente genetica, dovuta per esempio al tipo di alterazione genetica, alle cellule interessate e alla loro distribuzione nel sistema nervoso, ad altre variabili genetiche e a fattori epigenetici.
La diagnosi della sindrome di Dravet è sempre clinica e supportata dall'analisi genetica, la quale da sola non basterebbe, perché esistono altre forme di sindromi epilettiche dovute a una mutazione dello stesso gene. Una volta accertata la presenza della malattia la presa in carico deve necessariamente essere multidisciplinare e coinvolgere anche la famiglia che va supportata dal principio. Aggiunge Dalla Bernardina: “Oggi che sappiamo che il disturbo è dovuto a un'alterazione genetica e che la maggior parte delle comorbilità si manifestano dopo il terzo anno di vita, non è solo importante che la presa in carico sia multidisciplinare, ma anche che sia fatta precocemente. Una volta accertata la diagnosi, i bambini devono essere monitorati attentamente, per eseguire una presa in carico abilitativa prima ancora che sia evidente il bisogno di una riabilitazione”.
Anche in questo caso, come per tutta la medicina ormai, la cura tende a essere personalizzata. A maggior ragione, oggi che è noto il coinvolgimento del gene che controlla i canali del sodio si sa che vanno assolutamente evitati i farmaci sodio-bloccanti perché rischiano di aggravare le crisi. “I farmaci di prima linea che vengono utilizzati non sono moltissimi. Gli unici che si sono rivelati efficaci e senza grossi inconvenienti sono il valproato di sodio e il clobazam”, sottolinea l'esperto. “Poi nel tempo altri si sono rivelati efficaci come lo stiripentolo e il cannabidiolo. Oggi il farmaco che dà la migliore risposta anticrisi è la fenfluramina, che però ha il limite di poter essere somministrata solo nei bambini con più di due anni”.
Un problema, considerando che, come detto in precedenza, le crisi più lunghe e pericolose si hanno proprio a partire dal primo anno di vita. Resta poi il miraggio della terapia genica, che secondo Dalla Bernardina però difficilmente potrà divenire realtà: “Non possiamo modificare la storia naturale della sindrome di Dravet, ma possiamo controllare ancora meglio le crisi epilettiche e contenere l'entità delle comorbidità con una diagnosi e una presa in carico precoci, in grado di limitare il più possibile i danni”.
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