All'origine dell'Alzheimer vi sarebbe un blocco della comunicazione fra il nucleo delle cellule - sede del Dna - e il citoplasma, di cui fa parte tutto ciò che è presente nelle cellule a eccezione di organelli e nucleo.
Il blocco nel trasporto cellulare sarebbe causato dall'accumulo nel cervello di granuli di stress (SG), cioè “condensati citoplasmatici senza membrana che contengono mRNA non tradotto, fattori di pre-inizio della traduzione e proteine leganti l'RNA (RBP)”, come indicato in uno studio dell'Università di Parma.
Si tratta di aggregati di Rna e proteine che si generano in risposta allo stress, innescato da varie ragioni. I granuli di stress hanno l'obiettivo di proteggere l'Rna e le proteine, ma quando si accumulano in maniera cronica nel cervello possono stravolgere l'espressione di un migliaio di geni e innescare una cascata di eventi che porta alla neuroinfiammazione e alla neurodegenerazione, quindi in definitiva all'Alzheimer.
In questo quadro rientrano anche gli accumuli di proteina beta-amiloide e tau, anomalie ormai note in presenza di Alzheimer.
La rivoluzionaria teoria è stata proposta da un team di ricerca del Banner Neurodegenerative Disease Research Center - Istituto di Biodesign dell'Università Statale dell'Arizona. I ricercatori, coordinati dal professor Paul Colemann, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i dati di un precedente studio pubblicato nel 2022, nel quale un team di ricerca guidato dal professor Morgan aveva evidenziato che nei pazienti con Alzheimer erano presenti cambiamenti in oltre il 90 percento dei percorsi genetici presenti nel KEGG (acronimo di Kyoto Encyclopedia of Genes and Genomes), un ricco database bioinformatico che abbraccia molteplici informazioni su geni, proteine e malattie.
“La nostra proposta, incentrata sulla rottura della comunicazione tra nucleo e citoplasma che porta a massicce interruzioni nell'espressione genica, offre un quadro plausibile per comprendere in modo completo i meccanismi che guidano questa complessa malattia”, ha dichiarato in un comunicato stampa il professor Coleman. “Studiare queste prime manifestazioni dell'Alzheimer potrebbe aprire la strada ad approcci innovativi alla diagnosi, al trattamento e alla prevenzione, affrontando la malattia alle sue radici”, ha aggiunto l'esperto.
Intervenire su questa disfunzione potrebbe rappresentare la migliore prevenzione per le varie forme di demenza. Dal momento che i segnali precoci dell'Alzheimer compaiono anche anni prima della vera e propria manifestazione clinica della malattia, è lecito supporre che l'accumulo dei granuli di stress inizi in una fase ancora precedente.
“Il nostro articolo contribuisce al dibattito in corso su quando inizia davvero l'Alzheimer, un concetto in evoluzione plasmato dai progressi della tecnologia e della ricerca. Le domande chiave sono quando può essere rilevato per la prima volta e quando si dovrebbe iniziare a intervenire, entrambe con profonde implicazioni per la società e per i futuri approcci medici”, ha chiosato il professor Coleman.
La ricerca è stata pubblicata su Alzheimer's and Dementia: The Journal of the Alzheimer's Association.
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