Occhio alle microplastiche nel forno a microonde

Fondamentale rispettare le indicazioni per i contenitori per alimenti

Scaldare il cibo nel forno a microonde potrebbe portare al rilascio di microplastiche nell'ambiente se non si rispettano le condizioni stabilite dai produttori dei contenitori per alimenti.
Lo ricorda uno studio pubblicato su Particles and Particle Systems Characterization da un team dell'Università Statale di Milano in collaborazione con l'Università di Milano-Bicocca. I test sono stati effettuati nei laboratori di EOS, un'azienda che sviluppa una tecnologia per la caratterizzazione ottica di polveri ideata nei laboratori di Fisica dell'Università Statale di Milano, chiamata Single Particle Extinction and Scattering (SPES).
«Il nostro esperimento è consistito nel riscaldare tra i 90 e i 100 gradi acqua pura in contenitori di plastica per alimenti - spiega al Corriere della Sera Marco Potenza, docente di Ottica del Dipartimento di Fisica dell'Università Statale di Milano e coautore della ricerca -. Dopo circa 3-4 minuti alla massima potenza, si è visto che si liberano nano e microsfere composte del materiale di cui è costituito il contenitore stesso: il polipropilene, un materiale biocompatibile che ha la caratteristica di fondere proprio tra 90 e 110 gradi».
«Capire questo fenomeno è stato possibile grazie alla tecnologia SPES che abbiamo elaborato una decina di anni fa: illuminando con un laser, in modo controllato, una particella come una microplastica, questa brilla - prosegue l'esperto -. Dalle caratteristiche della luce emessa si riesce a creare la “carta d'identità” di questa particella, un insieme di informazioni morfologiche che vanno dalla dimensione alla forma. La forma sferica delle microparticelle rivela che quel materiale si è fuso e risolidificato nell'acqua, processo che industrialmente viene usato per produrre le microsfere».
«La cosa importante da sottolineare è che le microsfere si sono create solo alle temperature di fusione del materiale di cui sono fatti i contenitori - rimarca l'esperto -. Il fenomeno, infatti, non avviene se si rispettano le indicazioni fornite dai produttori per i contenitori per alimenti: non portarli oltre i 90 gradi, non riscaldarli per troppo tempo nel microonde o non usare l'apparecchio alla massima potenza. Da qui nessun allarmismo per i cibi».
La conferma viene da test incrociati realizzati dai ricercatori, che hanno ripetuto l'esperimento portando a ebollizione l'acqua contenuta nel vetro, ma in questo caso il processo di formazione delle microsfere non si verifica, il che dimostra che non è l'ebollizione in sé a costituire un pericolo.
«La creazione delle microsfere è sistematica e ripetibile - conclude Potenza -, ma non abbiamo elementi per dire che cosa succede dopo che queste microparticelle si distribuiscono nell'ambiente perché entrano in gioco tanti fattori: si possono accumulare, per esempio, possono essere degradate dai raggi ultravioletti o dall'azione aggressiva dell'acqua del mare».

04/06/2024 09:40:17 Andrea Sperelli


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