Le conquiste degli ultimi anni nell'ambito dell'HIV hanno sancito lo storico successo dell'evidenza scientifica dello U=U, Undetectable=Untransmittable. L'HIV, cioè, non viene trasmesso sessualmente se la viremia del partner HIV positivo è persistentemente non determinabile nel sangue, grazie alla corretta assunzione di un'efficace terapia antiretrovirale.
Un passaggio che permette di considerare l'HIV un'infezione cronica. Recenti studi rivelano come questo principio sia applicabile anche alla trasmissione verticale madre-feto: una donna affetta da HIV può avere figli e condurre una gravidanza normale senza correre il rischio di trasmettere il virus al nascituro. Maternità e HIV è stato uno dei temi al centro della 13a edizione del Congresso ICAR - Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, al Palazzo dei Congressi di Riccione, organizzato sotto l'egida della SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.
“Il tema della gravidanza può declinarsi in vari scenari - spiega Francesca Vichi, Medico Malattie Infettive SOC1 USL Toscana Centro, Firenze, Responsabile Day Hospital Ambulatorio. - Se si tratta di una donna HIV positiva, l'argomento “U=U” è attualissimo, purché sia stabilmente in terapia antiretrovirale ad alta efficacia per raggiungere una carica virale negativa. La terapia è efficace, ben tollerata dalla donna, non dannosa per il feto e può accompagnare la paziente in tutti i cambiamenti fisiologici che avvengono durante la gravidanza e le relative interazioni con i farmaci assunti nei 9 mesi. Naturalmente una donna in gravidanza in terapia va seguita in maniera molto stretta al fine di verificare che tutto proceda regolarmente e senza effetti collaterali. Un caso particolare può essere quello in cui la donna scopra la sieropositività proprio durante la gravidanza, fenomeno purtroppo ancora frequente secondo gli ultimi dati dell'ISS, soprattutto tra le donne straniere. Su queste pazienti bisogna impostare rapidamente una terapia efficace e molto potente per raggiungere nel minor tempo possibile la non rilevabilità (RAPID ART). Disponiamo di farmaci molto potenti, efficaci e con una buona tollerabilità nella donna in gravidanza”.
Le evidenze scientifiche sulla sicurezza della gravidanza della donna HIV positiva sono dimostrate dagli ultimi sviluppi dello Studio Tsepamo, in corso dal 2014 in Botswana e regolarmente aggiornato. “Gli ultimi dati dello studio Tsepamo evidenziano che l'assunzione di terapia base di Dolutegravir fin dal concepimento ha un rischio di danni neuronali al bambino dello 0,15%, quindi minimi e paragonabili al danno che può provocare l'esposizione a un qualunque altro farmaco - sottolinea Francesca Vichi. - L'ultimo follow up dello Studio Tsepamo, pubblicato allo IAS (International AIDS Society Conference) a luglio 2021, propone l'analisi su una popolazione di quasi 200mila donne in gravidanza, delle quali circa 6mila avevano ricevuto Dolutegravir nel periodo periconcezionale, con un danno neuronale del neonato con una prevalenza dello 0,15%. In assenza di qualsiasi tipo di intervento, il passaggio dell'HIV dalla madre al figlio si attesta tra il 15 e il 45%; con la negativizzazione della carica virale per tutta la gravidanza, il passaggio diventa quasi nullo. Il concepimento e il parto possono così essere naturali: grazie alla terapia antiretrovirale quotidiana, la donna HIV positiva può vivere la propria gravidanza come tutte le altre donne. Questo ha un grande significato sia a livello individuale sia comunitario ed è un forte messaggio contro lo stigma”.
L'unico elemento della maternità su cui resta aperto il dibattito è il tema dell'allattamento al seno. “Nei Paesi occidentali, spesso viene consigliata la formula di allattamento artificiale, visto che le linee guida EACS e DHHS suggeriscono un'allerta sul passaggio del virus nel latte”, dichiara Vichi.
“Il tema dell'allattamento nelle donne HIV positive presenta anche elementi incoraggianti - evidenzia Maria Grazia Di Benedetto, LILA - Lega Italiana per la Lotta contro l'AIDS. - Come emerge da una ricerca proposta dalla community a ICAR 2021, non ci sono studi sul rischio di trasmissione tramite l'allattamento nei Paesi ad alto reddito. Esistono invece studi relativi all'Africa Subsahariana e all'India (Studio PROMISE - Promoting Maternal and Infant Survival Everywhere) che riportano un abbattimento della trasmissione del virus nell'allattamento materno se la donna è sotto adeguata terapia fin sotto l'1%. Considerando che si tratta di Paesi con scarsità di risorse e un difficoltoso accesso alle cure, il quadro per i Paesi ad alto reddito si fa incoraggiante. Vi sono anche nuove prese di posizione in tal senso: le nuove linee guida britanniche e statunitensi, pur continuando a raccomandare il latte in formula come miglior alimentazione per eliminare il rischio di trasmissione del virus, hanno avviato un nuovo approccio, caratterizzato dal coinvolgimento della donna nella decisione sull'allattamento, tra rischi effettivi e benefici per la donna che scaturiscono dall'allattamento al seno; l'allattamento artificiale infatti aumenta il rischio patologie oncologiche e cardiovascolari. Uno studio svizzero ha analizzato tutta la letteratura scientifica sul tema e ha definito uno “scenario ottimale” in cui il rischio di trasmissione da donna a figlio si azzera con aderenza alla terapia; regolare controllo clinico; una carica virale di HIV nel plasma soppressa”.
Le informazioni di medicina e salute non sostituiscono
l'intervento del medico curante
Questa pagina è stata letta
293649 volte