Le onde lente del cervello aiutano gli epilettici

Componente fondamentale con funzioni riparatrici

Uno studio apparso su Nature Communications mostra l'efficacia protettiva delle onde lente nei pazienti che soffrono di epilessia.
«Le onde lente dell'attività neuronale sono una componente fondamentale del sonno e si ritiene che abbiano funzioni omeostatiche e riparatrici. Purtroppo, però, la loro interazione con la patologia non è ben chiara, ed esistono solo prove indirette della loro presenza durante la veglia», afferma Laurent Sheybani dello University College London, primo nome del lavoro.
I ricercatori si sono serviti di registrazioni intracorticali del lobo temporale di 25 pazienti epilettici per individuare l'esistenza di onde lente di veglia locali (LoWS) con caratteristiche chiave delle onde lente del sonno, tra cui uno stato down di attivazione neuronale.
Nel corso dello studio i partecipanti hanno osservato 27 coppie di immagini su uno schermo per 6 secondi. Le immagini erano divise in 9 gruppi da 3, e ciascun gruppo presentava una persona, un luogo e un oggetto. I volontari dovevano ricordare le immagini raggruppate insieme. Durante l'attività sono stati registrati continuamente i dati EEG.
È così emerso che il cervello delle persone epilettiche produceva onde lente della durata inferiore a un secondo mentre erano svegli ed eseguivano il compito richiesto.
L'aumento dell'eccitabilità cerebrale è andato di pari passo con l'aumento delle onde lente di veglia, accompagnato da una riduzione dei picchi epilettici. Si è verificata in particolare una riduzione dell'attivazione delle cellule nervose.
I ricercatori hanno cercato di capire se la presenza di onde lente di veglia determinasse un qualche tipo di danno alla funzione cognitiva. In effetti, riducendo l'attività delle cellule nervose, le onde lente causavano anche un aumento del tempo richiesto dai pazienti per portare a termine il compito richiesto. Per ogni aumento di un'onda lenta al secondo, il tempo di reazione aumentava di 0,56 secondi.

Fonte: Nature Communications 2023. Doi: 10.1038/s41467-023-42971-3
Nature Communications

12/12/2023 10:10:00 Arturo Bandini


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