L'introduzione dell'immunoterapia ha permesso di combattere “dall'interno” un tumore rivoluzionando il modo di curare. Tuttavia, non sempre l'intervento sul sistema immunitario del paziente è sufficiente. A volte la terapia non è capace di rendere il contesto sfavorevole alla crescita del tumore. Ciò accade perché il sistema immunitario si allea con il tumore, smettendo di prendere qualsiasi iniziativa per contrastarlo. Ma come fa il sistema immunitario a prendere una simile decisione?
Un recente studio pubblicato su Science Translational Medicine, condotto presso l'Università di Basilea, dimostra che sono gli zuccheri esposti dalle cellule tumorali sulla propria superficie a ingannare il sistema immunitario. Lo studio vede coinvolta anche Carolyn Bertozzi, professoressa di Stanford e vincitrice del premio Nobel per la chimica nel 2022, che da lungo tempo si occupa della presenza degli zuccheri sulla superficie cellulare e del loro coinvolgimento in varie malattie.
L'articolo pubblicato suggerisce un sistema per eliminare gli zuccheri superficiali decorati da acido sialico, il vero responsabile della trappola al sistema immunitario dell'ospite. Il professor Heinz Läubli, del Dipartimento di Biomedicina dell'Università di Basilea, autore dello studio, spiega: “Dato che per molti tumori le terapie mostrano modesti livelli di successo, siamo alla ricerca di nuovi approcci per indurre in modo più efficiente risposte immunitarie antitumorali”.
Le cellule tumorali sovraespongono sulla propria superficie l'acido sialico, grazie all'attivazione di specifici geni. Così facendo, il tumore è in grado di interagire con una famiglia di recettori presenti sui macrofagi, chiamati Siglec, che legano proprio l'acido sialico. In particolare, a livello delle cellule immunitarie che infiltrano il tumore, l'acido sialico stimola recettori Siglec con proprietà immunomodulatorie, cioè capaci di innescare messaggi che influenzano le altre cellule immunitarie in modo da dissuaderle dal riconoscere il tumore come entità estranea all'organismo.
Accade così che il tumore passi inosservato, sfruttando le stesse cellule del corpo per bloccare l'innesco delle complesse azioni e reazioni di cui è capace il nostro sistema immunitario. In un contesto del genere, anche terapie antitumorali avanzate come l'immunoterapia e l'inibizione dei checkpoint immunitari non funzionano. Vale a dire che per sollecitare l'attacco delle difese dell'organismo contro le cellule tumorali, non basta inibire l'azione di quelle molecole che di solito regolano il sistema immunitario.
I checkpoint, infatti, impediscono al nostro sistema immunitario di colpire le cellule e le strutture che riconosce come appartenenti al nostro stesso corpo. Una volta capito il meccanismo dell'acido sialico, adottato per confondere il sistema immunitario, si aggiunge la difficoltà di individuare il recettore o i recettori capaci di tali interazioni. La famiglia Siglec è numerosa nell'uomo e diversa da quella degli altri animali.
Ricerche precedenti condotte da Läubli fin dal 2014, avevano dimostrato un coinvolgimento di Siglec 9 in numerosi tumori (tumore al polmone non a piccole cellule, tumore alle cellule epiteliali ovariche, melanoma e tumore al colon-retto).
Lo studio appena pubblicato su Science Translational Medicine dimostra la relazione tra acido sialico e resistenza del tumore all'immunoterapia. Iniettando nei topi cellule tumorali modificate in modo da essere incapaci di produrre acido sialico, è stato possibile dimostrare l'efficacia dell'immunoterapia con i classici inibitori dei checkpoint.
Un'altra strategia adottata per dimostrare la capacità modulatoria del sistema immunitario da parte dell'acido sialico è stata quella di portare direttamente nel tessuto tumorale un enzima, la sialidasi, capace di tagliare e distruggere le molecole di acido sialico.
Per fare in modo che l'obiettivo su cui andava ad agire l'enzima fossero proprio le cellule tumorali, è stata creata in laboratorio una proteina di fusione: metà enzima e metà anticorpo capace di riconoscere molecole espresse solo dalle cellule tumorali. Di nuovo l'acido sialico si è dimostrato capace di influenzare il destino del tumore tramite l'interazione con le cellule immunitarie.
A riprova di ciò, il trattamento con la sialidasi inibisce la crescita del tumore e prolunga la vita dei topi se associata all'immunoterapia. Inoltre, la sialidasi induce oltre alla diminuzione dei residui di acido sialico, anche una variazione nelle cellule immunitarie dell'ospite. In particolare, i macrofagi infiltrati nel tumore cessano di esprimere molecole immunosoppressive in favore di effettori anti-tumorali.
Svelate queste interazioni tra tumore e sistema immunitario, l'articolo sembra suggerire nuovi approcci alle immunoterapie. Cosa occorre prima che tale strategia possa essere applicata? Nell'uomo sembrerebbero essere coinvolti diversi recettori capaci di legare l'acido sialico e di modulare la risposta immunitaria: Siglec-9, 10 e 15.
Quindi, la strategia più facilmente attuabile per impedire tale interazione sarebbe proprio quella che colpisce l'acido sialico esposto sulla superficie delle cellule tumorali piuttosto che la pletora di recettori coinvolti. Tale strategia purtroppo deve essere perfezionata: la desialinizzazione talvolta non colpisce solo il tumore, ma finisce per coinvolgere anche altri tessuti portando alla morte dei topi.
In ogni caso, per poter usare tale tecnologia bisognerebbe individuare molecole caratteristiche per ogni tipo di tumore. È cruciale, infatti, che un anticorpo conduca la sialidasi, con cui sarebbe fuso artificialmente, proprio in maniera specifica al tessuto tumorale.
Se lo studio conferma un ruolo importante dell'acido sialico nel modulare l'ambiente in cui il tumore può proliferare, resta ancora da individuare un trattamento più mirato possibile per evitare di interrompere le funzioni delle cellule sane.
Fonte: AboutPharma
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