Covid, Paxlovid da evitare se si usano immunosoppressori

Rischio di effetti gravi a causa dell'interazione farmacologica

Chi sta assumendo una terapia immunosoppressiva dovrebbe evitare l'utilizzo dell'antivirale Paxlovid per la cura di Covid-19. Lo segnala una nota dell'Agenzia italiana del farmaco a causa di «interazioni farmacologiche potenzialmente gravi e fatali». L'Agenzia italiana del farmaco Aifa ha diffuso specifiche raccomandazioni, dopo le conclusioni del Comitato di sicurezza dell'Agenzia europea del farmaco Ema (Prac), comunicate dall'ente regolatorio Ue a febbraio.
«La co-somministrazione di Paxlovid con alcuni immunosoppressori con una ristretta finestra terapeutica come gli inibitori di calcineurina (ciclosporina, tacrolimus) e gli inibitori di mTor (everolimus, sirolimus) può dare origine a reazioni potenzialmente gravi e fatali a causa di interazioni farmacocinetiche», avverte l'Aifa. «A causa del rischio di interazioni gravi la co-somministrazione di questi immunosoppressori deve essere presa in considerazione soltanto se è possibile effettuare un attento e regolare monitoraggio delle concentrazioni sieriche dell'immunosoppressore. Il monitoraggio deve essere effettuato non solo durante la co-somministrazione con Paxlovid, ma anche dopo il trattamento. Paxlovid - prosegue la nota Aifa - è controindicato nei pazienti che assumono medicinali che dipendono fortemente dal
CYP3A per la clearance e per i quali concentrazioni plasmatiche elevate possono dare origine a reazioni gravi e/o potenzialmente fatali, incluso l'inibitore di calcineurina voclosporina».
«È necessaria una valutazione da parte di un gruppo multidisciplinare di specialisti - conclude l'agenzia - per gestire la complessità della cosomministrazione di Paxlovid. Il potenziale beneficio deltrattamento con Paxlovid deve essere attentamente valutato rispetto ai gravi rischi nel caso in cui le interazioni farmacologiche non siano gestite in modoadeguato».
La terapia immunosoppressiva a cui non è possibile combinare l'uso dell'antivirale in caso di Covid nei pazienti a rischio di evoluzione verso forme gravi è quella basata sugli inibitori della calcineurina (tacrolimus, ciclosporina) e di mTOR (everolimus, sirolimus), a cui si ricorre nel trattamento di alcune malattie autoimmuni o per prevenire il rigetto nei pazienti sottopostisi a un trapianto d'organo. Il Prac precisa che Paxlovid può deve essere somministrato con uno di questi farmaci “soltanto se è possibile un monitoraggio attento e regolare dei livelli ematici, per ridurre il rischio di interazioni farmacologiche che causano reazioni gravi”. Agli operatori sanitari è ricordata la necessità di “consultarsi in un gruppo multidisciplinare per gestire la complessità dell'assunzione congiunta di questi medicinali”. Mentre l'antivirale non deve mai essere somministrato in combinazione con farmaci la cui eliminazione dall'organismo dipende in larga misura da una serie di enzimi epatici noti come CYP3A (tra cui l'immunosoppressore voclosporina). A queste conclusioni il Prac è giunto dopo aver esaminato le segnalazioni di reazioni avverse gravi (alcune delle quali fatali) derivanti da interazioni farmacologiche tra Paxlovid e questi immunosoppressori.
In diversi casi, i livelli ematici di questi ultimi sono aumentati rapidamente fino a livelli tossici, determinando condizioni potenzialmente letali.
Inoltre, è emerso che i pazienti con sintomi gravi di Covid-19 trattati con nirmatrelvir-ritonavir (Paxlovid) possono rischiano più di altri un rebound virologico. In un soggetto su 5, infatti, dopo un iniziale test negativo si è manifestata una nuova positività, come testimoniato da uno studio pubblicato su Annals of Internal Medicine.
«Studi precedenti avevano dimostrato l'efficacia del farmaco nel ridurre l'ospedalizzazione e la morte nei casi di grave infezione da Covid-19, ma da quando è stato usato, alcuni pazienti hanno riportato un rebound virologico», spiega Mark Siedner del Massachusetts General Hospital di Boston, autore senior dello studio.
I dati raccolti provenivano da 142 individui partecipanti al Post-vaccination Viral Characteristics Study (POSITIVES), uno studio in corso che segue individui con diagnosi di infezioni acute da Covid-19.
I soggetti sono stati divisi in base all'assunzione o meno di Paxlovid per 5 giorni, e i medici hanno monitorato le cariche virali e i sintomi, coltivando campioni virali ed eseguendo il sequenziamento dell'intero genoma.
Il 20,8% dei partecipanti che hanno assunto Paxlovid ha accusato un problema di rebound virologico, cioè un ritorno alla positività, contro soltanto l'1,8% di chi non ha assunto il farmaco.
Le persone soggette a rebound hanno mostrato anche una diffusione virale prolungata, per una media di 14 giorni rispetto a meno di 5 giorni.
«A differenza di studi precedenti, abbiamo seguito i pazienti molto più a lungo, e abbiamo effettuato la raccolta dei campioni a domicilio. Disporre sia dei livelli di RNA virale che dei dati della coltura virale ci ha permesso di dipingere un quadro più completo e sfumato dell'esperienza di un paziente con Paxlovid», affermano gli autori.

Fonte: Annals of Internal Medicine 2023. Doi: 10.7326/M23-175
Annals of Internal Medicine 2023

22/03/2024 10:10:00 Andrea Sperelli


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