Il farmaco Vemurafenib si è rivelato efficace nel trattamento di pazienti colpiti da carcinoma tiroideo metastatico e mutazione Braf-V600E. Lo rivela uno studio apparso su Lancet Oncology e firmato da Marcia Brose, docente di Otorinolaringoiatria presso l'Università della Pennsylvania.
51 pazienti colpiti da questa forma di cancro hanno assunto il medicinale già sperimentato in passato per la cura del melanoma. In tal modo hanno scoperto una promettente azione antitumorale in un terzo dei casi.
«Braf è una serin-treonin protein-chinasi della famiglia delle RAF chinasi di cui fanno parte anche Araf e Craf, coinvolte nella cascata di trasduzione del segnale MAPK, mitogen-activated protein-kinase», scrivono gli autori.
La somministrazione ha prodotto un aumento significativo della sopravvivenza nei pazienti affetti da carcinoma papillare della tiroide refrattario allo iodio radioattivo e non responsivo alle precedenti terapie.
«Dopo 15 mesi di follow-up una risposta al trattamento è stata osservata nel 27-38% dei casi, un risultato significativo in un tumore con opzioni terapeutiche scarse o addirittura assenti», osserva Brose. «Le mutazioni Braf sono presenti in circa il 40-50% dei casi, specie nelle forme più aggressive con scarsa risposta allo iodio radioattivo».
Gli effetti collaterali del farmaco sono simili a quelli riscontrati nei pazienti affetti da melanoma che lo hanno assunto: perdita di peso, anemia, disturbi della funzione epatica e renale.
«Vemurafenib è il primo inibitore non-Vegfr attivo in questa sottopopolazione di pazienti e come tale è un'importante aggiunta ai pochi trattamenti disponibili», conclude tuttavia la ricercatrice.
Fonte: Lancet Oncology
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