Psicosi da attentato

Condividere emozioni e pensieri è la via per uscirne

Il terrorismo è tornato a colpire e rischia di far esplodere in tutta Europa una vera e propria psicosi.
Il flusso mediatico ininterrotto focalizzato sugli attentati e i lunghi dibattiti dei talk show televisivi hanno soffiato sul fuoco della paura, generando allerta in tutta Europa. Ma cosa scatta dal punto di vista emotivo nel vedere le immagini di attentati riprese e mandate in continuazione dai media? Secondo gli esperti si può arrivare a una sorta di psicosi emotiva. Una paura irragionevole e irrazionale che s'impossessa delle menti e condiziona le azioni compiute da ognuno.
Secondo lo psichiatra Michele Cucchi, Direttore Sanitario del Centro Medico Santagostino di Milano, questo tipo di comunicazione potrebbe generare sentimenti contrapposti caratterizzati da emozioni forti capaci di scatenare, nei soggetti più sensibili e nelle menti più facilmente manipolabili, persino attacchi di panico. Come vincerla? Il modo migliore per non lasciarsi travolgere da questa psicosi è condividere, sintonizzarsi con gli altri, affiatatati e pronti a scattare tutti insieme contro il nemico. Solo così, non sentendoci mai soli veramente, ma forti del gruppo, ci possiamo difendere da questo attacco che, prima che alle nostre case, è un attacco alle pance: ci colpisce emotivamente nel centro nevralgico della nostra emozionalità.
Altro suggerimento è non catastrofizzare, perché spesso la preoccupazione ci porta a vedere probabile e quasi scontato ciò che è solo una rarissima evenienza, e soprattutto ragionare sempre con la propria testa, senza dare per scontato ciò che le fonti di informazioni sembrano spacciarci per certezza.
Ovviamente ora che la cosa ci tocca da vicino, ora che ci percepiamo veramente precari tutto diventa un dubbio: ha senso volare? Prendere la metropolitana? Chattare e scrivere certe cose? Tutto ci spaventa e se poi guardiamo e riguardiamo le immagini della carneficina sentiamo ancora di più, per la legge biologica dell'empatia che passa dal vedere negli altri una sensazione e ricostruirla fisicamente dentro di noi, il dolore e la follia a un passo da noi.
Non è facile resistere all'ondata di terrore. Non basta razionalizzare perché le emozioni e soprattutto la paura rendono probabili (almeno dentro di noi) le cose solo vagamente possibili.
Dobbiamo reagire alla paura del branco esattamente come in natura le specie animali fanno dinnanzi ai pericoli, coalizzandosi in gruppi, branchi appunto.
A stimolare una risposta emotiva forte è anche il tipo di comunicazione mediatica: la paura di massa è infatti un fenomeno mediatico molto importante che viene adeguatamente sfruttato per finalità di audience. Tutto ciò che fa panico, emozione forte, attrae la curiosità e quindi alimenta l'attenzione. L'uomo è un animale sociale e vive di segnali comunicativi che gli permettono in modo innato di entrare in risonanza emotiva con gli altri, un fenomeno chiamato empatizzazione. Questo meccanismo possiede un valore adattivo perché vivere in branco serve anche a comunicare agli altri e quindi proteggere i componenti del gruppo dai nemici e dai potenziali pericoli: basta l'espressione della paura sul volto di un compagno per provare paura e reagire allertando l'intera collettività. La stessa cosa fa il branco: scappare tutti insieme e meglio ancora difendersi tutti insieme. Un'ulteriore caratteristica da tenere in considerazione è rappresentata dal fatto che, in preda a una tensione emotiva legata alla paura di un pericolo imminente per il gruppo, come può essere ad esempio un attentato terroristico, si vanno generando risorse e risposte potentissime della collettività, basate sulla coalizzazione, che si sente offesa e si difende con tutte le sue forze.
La strategia del terrore messa in atto dai terroristi che hanno commesso questi tremendi crimini ci rende quindi di conseguenza più uniti, ma allo stesso tempo più manipolabili da chi ci gestisce come gruppo stesso: parliamo di politica e media. Esistono persone più sensibili in riferimento a questo fenomeno, caratterizzati da un minor spirito critico aprioristico, da una tendenza a conformarsi ai comportamenti sociali e da un forte bisogno di appartenenza per sentirsi indentificati e rassicurati dalla collettività.

23/03/2017 12:41:00 Andrea Piccoli


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