Una efficacia “sostenuta” nel tempo e “comparabile” tra i diversi dispositivi medici. La sostituzione transcatetere (Tavi) sta progressivamente rimpiazzando le procedure cardiochirurgiche nel trattamento della stenosi aortica.
Merito anche della disponibilità di dispositivi di elevata qualità che, indipendentemente dalla parziale disomogeneità nell'offerta sanitaria garantita ai cittadini italiani e dalle scelte compiute dalle singole aziende sanitarie, sembrano garantire risultati omogenei.
Sia per quel che riguarda la sopravvivenza dei pazienti operati sia l'incidenza di eventi cardio e cerebrovascolari nei cinque anni successivi all'esecuzione della procedura.
Il messaggio si evince dalle conclusioni di un'analisi real-world condotta in Italia - la prima di questo tipo basata sulle evidenze raccolte nella pratica clinica - analizzando l'esito di quasi 2.500 procedure effettuate tra il 2016 e il 2018 su pazienti anziani (83 anni l'età media) in 28 centri diffusi in tutta Italia.
Obiettivo dei ricercatori - un pool di clinici guidati da cardiologi interventisti siciliani (Marco Barbanti, Giuliano Costa e Corrado Tamburino), ma anche esperti di sanità pubblica dell'Istituto superiore di sanità (Gabriella Badoni), dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Giovanni Baglio) e del Centro nazionale per le ricerche (Gennaro Santoro) - era quello di confrontare l'outcome dei pazienti ponendolo in relazione con il tipo di valvola cardiaca utilizzata nell'intervento.
Due gli indicatori considerati: la mortalità per tutte le cause e la comparsa di eventi cardio e cerebrovascolari maggiori (ictus, infarto del miocardio, angioplastica e intervento di bypass-coronarico) nei cinque anni successivi all'intervento, sulla base dei dati messi a disposizione dal database nazionale delle schede di dimissione ospedaliera fornite dal ministero della Salute e da altri database amministrativi locali.
Quattro i dispositivi di seconda e di terza generazione utilizzati nelle procedure vagliate nel corso della ricerca: Evolut R/Pro (Medtronic), Sapien 3 (Edwards Lifesciences), Acurate neo (Boston Scientific) e Portico (Abbott Cardiovascular).
I risultati emersi dallo studio Observant 2 - finanziato dal ministero della Salute nell'ambito del Programma di ricerca finalizzata 2016 - si sono rivelati sostanzialmente sovrapponibili.
Il tasso di mortalità è risultato compreso tra il 46,3 e il 53,6 per cento: senza dunque differenze sostanziali tra i diversi gruppi, considerando anche l'età elevata dei pazienti trattati. Idem dicasi per il secondo indicatore, che ha fatto registrare dati compresi tra il 50,6 e il 57,2 per cento.
Leggendo le conclusioni del lavoro, pubblicato sul Canadian Journal of Cardiology, l'unica differenza è emersa dal tasso di reospedalizzazione per scompenso cardiaco. Con il 27 per cento, il ricorso al dispositivo Sapien 3 (nello studio utilizzato principalmente nelle procedure non elettive) è risultato il più efficace.
Equilibrio sostanziale, invece, tra i dati registrati (tra 31,6 e 33,9 per cento) nei gruppi trattati con le altre valvole considerate. La frequenza di quasi tutti gli outcome ospedalieri (a eccezione del blocco di branca sinistra e della necessità di impiantare un pacemaker) è risultata comparabile tra i diversi gruppi (anche se inferiore tra i pazienti sottoposti a trattamento con le valvole Sapien 3 e Acurate).
Un'evidenza, quella a favore della Sapien 3, che “merita di essere sottolineata, in una fase in cui l'indicazione alla Tavi è oggetto di estensione anche a pazienti più giovani e dunque con una maggiore prospettiva di vita”, è quanto messo nero su bianco dagli autori. “Lo scompenso cardiaco ha un impatto sugli outcome clinici e sui sistemi sanitari”.
Mentre, nel confronto tra coppie di dispositivi, la Evolut e la Portico sono risultate associate a rischi più elevati (per tutti gli indicatori) rispetto alla Sapien 3.
L'analisi ha aggiunto nuove prove in un contesto - quello dell'industria delle bioprotesi valvolari - in fermento da diversi anni. Da qui la necessità di un confronto testa a testa, per aiutare i clinici e i dirigenti sanitari a compiere le scelte più opportune in termini di spesa sanitaria ed efficacia.
Attualmente - come ricordato dagli stessi autori nel lavoro - i cardiologi interventisti possono quasi sempre contare sulla disponibilità di più protesi. Almeno coloro che operano nei centri a maggior volume: da qui anche il messaggio più volte rilanciato dagli esperti della Società italiana di cardiologia interventistica (Gise) per centralizzare questo tipo di procedure. “Avere un singolo dispositivo per tutti i pazienti può determinare risultati peggiori a lungo termine, soprattutto nei centri meno esperti”, è quanto condiviso dagli specialisti in questo articolo.
Dove il ventaglio di opportunità è più ampio, la scelta su quella da impiantare avviene in base all'esperienza dello specialista e ad alcune considerazioni che maturano sulla base delle condizioni del singolo paziente.
Evidenze per migliorare l'appropriatezza nel trattamento della stenosi aortica
I ricercatori hanno osservato che “sebbene non sia stata registrata alcuna interazione tra i risultati post-procedura e gli esiti a cinque anni, si può ipotizzare che i tassi più bassi di rigurgito post-impianto valvolare e di impianto di pacemaker dopo una Tavi effettuata con Sapien 3 possano contribuire in parte ai tassi più bassi di eventi di insufficienza cardiaca rilevati”.
Detto ciò, la mancanza di un follow-up ecocardiografico e di dati relativi alla stimolazione del ventricolo destro dopo l'impianto di un pacemaker, “limitano la possibilità di approfondire adeguatamente l'influenza di questi due fattori”. Aspetti che saranno studiati nei prossimi anni, perché “è necessario avere ulteriori dati sul follow-up a lungo termine della Tavi, anche alla luce dell'accresciuta disponibilità di bioprotesi valvolari”, hanno concluso gli autori.
Fonte: AboutPharma
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