I pazienti con artrite reumatoide di grado lieve-moderato beneficiano di un programma specifico centrato sullo stile di vita da affiancare alla terapia farmacologica.
A dirlo è un trial clinico randomizzato pubblicato su Rheumatology da un team dell'Università di Amsterdam guidato da Wendy Walrabenstein, che spiega: “È stato ipotizzato da tempo che la prevenzione e il contrasto ai fattori avversi legati allo stile di vita potrebbe essere in grado di ridurre l'incidenza e l'impatto dell'artrite reumatoide (AR), alleviando al contempo le comorbilità associate. Nello specifico, sono stati documentati effetti benefici dall'adozione di interventi diretti contro alcuni fattori legati allo stile di vita presi singolarmente, come il ricorso a diete vegetariane o alla dieta mediterranea, a programmi basati sull'esercizio fisico a tecniche anti-stressâ€.
“In letteratura - continuano i ricercatori - è stato riportato come il ricorso ad un programma multidisciplinare basato sull'adozione di regime vegetariano, l'incremento dell'attività fisica, la riduzione dello stress e una buona vita sociale, sia stato in grado di produrre effetti favorevoli duraturi (fino a 5 anni) in pazienti con malattia coronarica e carcinoma della prostata iniziale. Fino ad ora, però, l'efficacia di queste misure basate sullo stile di vita non era stato valutato come intervento integrato alla terapia farmacologica nei pazienti con ARâ€.
Nel corso del trial sono stati messi a confronto un programma multidisciplinare di stile di vita e lo standard terapeutico. Allo studio hanno partecipato 83 pazienti con artrite reumatoide e un punteggio DAS28 di attività di malattia compreso tra ≥2,6 e ≤5,1. I pazienti sono stati randomizzati a un programma multidisciplinare centrato sullo stile di vita o a un gruppo di controllo.
I pazienti del primo gruppo hanno seguito un regime dietetico basato su alimenti integrali e vegetali, gestione dello stress e svolgimento di attività fisica, mentre il gruppo di controllo è stato sottoposto a cure standard.
Su un totale di 83 pazienti inizialmente reclutati, 77 di questi (età media di 55 anni, 92% donne, DAS28 medio di 3,8 [0,7] e BMI di 26 [4] kg/m2) hanno portato a termine lo studio. Al termine delle 16 settimane previste dal protocollo, la coorte PFJ ha registrato un miglioramento medio di 0,9 punti del punteggio DAS28 (IC95%: 0,41-1,29; P <0,0001) rispetto ai controlli.
L'intervento multidisciplinare ha portato anche a una maggiore riduzione delle lipoproteine a bassa densità (-0,32 mmol/l), dell'emoglobina A1C (HbA1c; -1,3 mmol/mol), della massa grassa (-2,8 kg), della circonferenza vita (-3 cm) e del peso corporeo (differenza -3,9 kg) rispetto ai controlli. Tuttavia, la pressione sanguigna, il glucosio, gli altri lipidi e le misure di outcome riferite dai pazienti non sono cambiati durante il periodo di intervento.
“I risultati hanno superato la soglia di miglioramento minimo clinicamente rilevante (pari a 0,8) e sono paragonabili a quelli generalmente ottenuti negli studi farmacologici. Il miglioramento è stato riscontrato sia nei pazienti con AR sieropositiva che in quelli con AR sieronegativa. Inoltre, l'intervento PFJ ha provocato significativi cambiamenti metabolici, come la perdita di peso e di massa grassa e la riduzione di HbA1c e LDL. La depressione, la fatigue, l'impatto del dolore e la funzione fisica, invece, non sono cambiatiâ€, spiegano i ricercatori.
Le informazioni di medicina e salute non sostituiscono
l'intervento del medico curante
Questa pagina è stata letta
293608 volte