“L'attuale approccio medico alla diagnosi di obesità si basa sull'indice di massa corporea (Bmi), che non rappresenta una misura affidabile di salute o di malattia a livello individuale. Questo può portare a diagnosi errate con conseguenze negative per le persone che vivono con obesità e per la società in senso lato”.
Può essere sintetizzato così, il lavoro condotto da una Commissione sull'obesità clinica che raccomanda un nuovo approccio all'epidemia del terzo millennio.
Quarantadue pagine, redatte sotto l'egida dell'italiano Francesco Rubino (titolare della cattedra di chirurgia metabolica e bariatrica al King's College di Londra ) e pubblicate su The Lancet diabates & endocrinology, da cui si evince che è il momento di aggiungere altre rilevazioni al Bmi per una corretta classificazione e per la definizione della strategia terapeutica più indicata.
La proposta, già emersa da un articolo pubblicato su Nature a luglio scorso, è intesa ad affrontare i limiti della definizione e della diagnosi tradizionale di obesità che ostacolano la pratica clinica e le politiche sanitarie, facendo sì che le persone con obesità non ricevano i trattamenti di cui hanno bisogno. Fornendo una cornice medica coerente per la diagnosi di patologia, la Commissione si augura anche di ricomporre l'attuale disputa circa l'idea di obesità come malattia.
“La questione del se l'obesità sia una malattia è fallace perché presuppone uno scenario non plausibile del tipo tutto-o-nulla, nel quale l'obesità rappresenti sempre una malattia o mai - precisa Rubino -. Le evidenze scientifiche raccontano però una realtà molto più sfumata. Alcuni individui con obesità possono mantenere una normale funzione d'organo e un buono stato di salute globale, anche a lungo termine. Mentre altri mostrano segni e sintomi di malattia grave qui e adesso”.
Una nuova definizione di obesità per scegliere i trattamenti più adeguati
Considerando l'obesità solo come un fattore di rischio e mai come una patologia, può portare a negare l'accesso a terapie tempestive (gli analoghi del Glp-1 sono stati eletti da Science scoperta dell'anno per il 2023) a soggetti in cattiva salute per motivi riconducibili alla sola obesità.
“D'altra parte, una definizione ampia di obesità come patologia può sfociare in un eccesso di diagnosi e nell'uso inappropriato di farmaci e procedure chirurgiche, con danno potenziale agli individui e costi impressionanti per la società - chiarisce l'esperto -. La nostra riformulazione riconosce la realtà sfumata dell'obesità e permette un trattamento personalizzato. Questo comprende un accesso tempestivo ai trattamenti basati sull'evidenza per gli individui con obesità clinica, come anche strategie di trattamento per la riduzione di rischio per le persone con obesità preclinica: che presentano un rischio aumentato, ma senza patologie concomitanti. In questo modo si potrà facilitare una riallocazione razionale delle risorse sanitarie e dare una priorità giusta e significativa dal punto di vista medico alle opzioni terapeutiche disponibili”.
Nel lungo documento, la Commissione fornisce anche un nuovo modello per la diagnosi di malattia nell'obesità, basato su misure oggettive di patologia a livello individuale.
L'obesità clinica viene definita come una condizione di obesità associata a segni e/o sintomi oggetti di ridotta funzione d'organo o con una capacità significativamente ridotta di svolgere le normali attività della vita quotidiana (farsi il bagno, vestirsi, mangiare e la continenza), riconducibile direttamente al grasso corporeo in eccesso.
Le persone con obesità clinica andrebbero considerate come soggetti affetti da una patologia cronica e ricevere un'appropriata gestione e trattamenti.
È in corso un dibattito tra medici e rappresentanti delle istituzioni politiche sull'attuale approccio diagnostico all'obesità, che si presta a un'errata classificazione dell'eccesso di grasso corporeo e a un'errata diagnosi della patologia.
Parte del problema sta nel fatto che al momento l'obesità viene attualmente definita sulla base dell'indice di massa corporea. Pur riconoscendo l'utilità del Bmi come strumento di screening per individuare le persone potenzialmente con obesità, gli autori raccomandano di prendere le distanze dal diagnosticare l'obesità basandosi solo sul Bmi.
Raccomandano invece di confermare la presenza di una massa adiposa in eccesso (obesità) e di studiare la sua distribuzione corporea usando uno dei metodi seguenti:
- Almeno una misurazione corporea (circonferenza vita, rapporto vita-anche o vita-altezza) in aggiunta al Bmi
- Almeno due misurazioni corporee (circonferenza vita, rapporto vita-anche o vita-altezza), a prescindere dal Bmi
- Misurazione diretta del tessuto adiposo corporeo (attraverso la DEXA o scansione della densitometria ossea), a prescindere dal Bmi
- Nelle persone con Bmi molto alto (>40) si può presumere in modo empirico la presenza di un eccesso di grasso corporeo.
La riformulazione della definizione di obesità operata dalla Commissione è mirata ad assicurare che tutte le persone che vivono con obesità ricevano adeguati consigli di salute e trattamenti basati sulle evidenze, quando necessari, con diverse strategie per l'obesità clinica e quella preclinica.
Le persone con obesità dovrebbero ricevere trattamenti evidence-based tempestivi allo scopo di recuperare del tutto o di migliorare le funzionalità corporee ridotte dall'eccesso di grasso, piuttosto che limitarsi alla sola perdita di peso.
Il tipo di trattamento e gestione dell'obesità clinica - stile di vita, farmaci, chirurgia - dovrebbe essere scelto sulla base del rischio individuale, valutandone i benefici e individuandolo dopo un'attiva conversazione con il paziente.
Le assicurazioni sanitarie in tutto il mondo spesso richiedono la documentazione della presenza di altre condizioni associate all'obesità (es. diabete di tipo 2) per accordare la copertura delle terapie per l'obesità. Ma in quanto patologia cronica di per sé, l'obesità clinica non dovrebbe aver bisogno della presenza di altre patologie per giustificare la copertura.
Le persone che vivono con obesità preclinica sono invece a rischio di malattie future, ma non presentano al momento complicanze dovute all'eccesso di grasso corporeo. Di conseguenza, l'approccio alla loro presa in carico dovrebbe mirare a una riduzione del rischio. A seconda del livello individuale, questo potrà richiedere il solo counselling e monitoraggio nel tempo o l'instaurazione di un trattamento attivo, se necessario per ridurre in maniera sostanziale l'elevato livello di rischio.
Una nuova visione dell'obesità alla base della riorganizzazione dei servizi sanitari
Con la stima di oltre un miliardo di persone con obesità nel mondo, la proposta della Commissione fornisce un'opportunità ai servizi sanitari di adottare una definizione di obesità universale e clinicamente rilevante e una metodologia di diagnostica più accurata.
“Riconoscere l'obesità come una malattia, in particolare l'obesità clinica, ossia quella accompagnata da segni e sintomi specifici - spiega Geltrude Mingrone, direttrice dell'unità operativa complessa patologie dell'obesità dell'Irccs Policlinico Gemelli di Roma: tra gli autori dell'articolo - consentirà di ridurre lo stigma associato a questa condizione tra il pubblico, i medici e i decisori politici. Questo è un passo fondamentale per definire i livelli essenziali di assistenza (Lea) e garantire un trattamento adeguato di questa patologia”.
Fonte: AboutPharma
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