Malgrado la rarità dell'evento, la miastenia gravis è causa di un decesso nel 2% dei pazienti. I motivi principali secondo Renato Mantegazza, già direttore dell'Uoc Neurologia 4 - Neuroimmunologia e Malattie Neuromuscolari dell'Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, sono quattro: l'età avanzata (il rischio aumenta oltre i 65-70 anni), la gravità della malattia, una “cattiva gestione” del paziente miastenico e infine la presenza di comorbidità che creano restrizioni nella modalità di trattamento. Patologie con cui il paziente convive che insorgono insieme alla miastenia gravis, come per esempio il diabete, le malattie cardiovascolari e i problemi respiratori che aumentano il rischio. Ma anche complicanze dovute al trattamento, soprattutto in caso di terapie immunosoppressive che possono contribuire all'insorgenza di infezioni opportunistiche e nosocomiali e in ultima istanza al decesso.
“La miastenia gravis è una malattia cronica e così le cure”, spiega Mantegazza. “A generare maggiori problemi sono i trattamenti immunosoppressivi (come i cortisonici), soprattutto nei soggetti più anziani, perché possono contribuire all'insorgenza di infezioni e causare un aggravamento della malattia. I ricoveri sono strettamente collegati al peggioramento clinico dei pazienti e possono avvenire più volte all'anno se la malattia non è gestita in maniera corretta dal punto di vista farmacologico”.
Uno studio pubblicato su European Journal of Neurology lo scorso ottobre, ha utilizzato i registri nazionali sanitari e di assistenza sociale di Danimarca, Finlandia e Svezia per stimare l'utilizzo delle risorse sanitarie e il carico economico della miastenia gravis. Ne è emerso che il costo totale annuo per persona era di 12.185, 9036 e 5997 euro nei rispettivi paesi e che a pesare maggiormente sul carico economico diretto erano proprio i ricoveri ospedalieri, che riguardavano il 77%-89% dei partecipanti allo studio nei tre paesi. Tra i fattori di rischio maggiormente associati a costi totali più elevati: Il sesso femminile e le comorbilità, come disturbi mentali e comportamentali e infezioni gravi. “Nonostante le diverse opzioni di trattamento disponibili, il carico della miastenia gravis rimane significativo, sia in termini di controllo inadeguato della malattia che di potenziali effetti collaterali del trattamento”, scrivono gli autori del lavoro.
Proprio per questo secondo Mantegazza il paziente miastenico dovrebbe sempre essere seguito da personale esperto e in un ospedale con un certo expertise sulla miastenia gravis, in modo tale da avere una gestione ottimale del trattamento farmacologico e della patologia e “maggiori probabilità di successo in caso di ricovero, rispetto a un paziente delle stesse condizioni preso in carico da una struttura sanitaria che non ha esperienza della malattia”. Particolare attenzione però deve essere data anche al trattamento farmacologico. “È infatti importante - aggiunge Mantegazza - che i pazienti non modifichino le terapie senza prima consultare il medico e i clinici che pongano la giusta attenzione alle combinazioni farmacologiche, soprattutto nel caso di pazienti anziani o con comorbidità che assumo più farmaci”.
C'è da aggiungere poi, come ricorda l'esperto, che i miastenici non sono tutti uguali. “Quelli portatori o che hanno avuto il timoma per esempio possono andare incontro a peggioramenti clinici con maggiore facilità e più frequentemente debbono essere ricoverati. Sono anche più difficili da trattare o da portare alla condizione a cui sempre auspichiamo di remissione farmacologica”. In generale poi secondo Mantegazza i pazienti dovrebbero anche essere anche educati a evitare situazioni in cui possono essere esposti a contrarre infezioni. “Facendo un esempio pratico - continua il neurologo - dovrebbero mantenere una ragionevole distanza nei confronti delle persone che possono essere veicolo di infezione o usare la mascherina soprattutto in mezzi o luoghi affollati”.
Un altro studio recente, condotto in Danimarca, Finlandia e Svezia e pubblicato lo scorso settembre su Journal of Neurology, neurosurgery & psychiatry del gruppo Bmj, ha indicato che il rapporto standardizzato di mortalità (Smr) complessivo è stato di 1,32 tra i pazienti con miastenia gravis in Danimarca, 1,23 in Finlandia e 1,20 in Svezia (con miastenia gravis, cardiopatia ischemica cronica e infarto miocardico acuto tra le cause più comuni di mortalità). Valori stabili rispetto al passato ma ancora una volta più alti nelle donne rispetto agli uomini. In crescita invece secondo il lavoro incidenza e prevalenza della miastenia gravis, pari rispettivamente a 1,34, 1,68 e 1,62 per 100.000 abitanti per Danimarca, Finlandia e Svezia e per quanto riguarda la prevalenza: 18,56, 20,89 e 23,42 per 100.000 rispettivamente nei tre Paesi.
“Come per altre condizioni autoimmuni, si è osservato che l'incidenza e la prevalenza della miastenia gravis aumentano nel tempo, sebbene non sia chiaro in quale misura ciò sia dovuto a una maggiore consapevolezza e a un miglioramento nella capacità di diagnosi” scrivono gli autori del lavoro. Tra le altre possibili cause di questo aumento di casi secondo gli esperti “l'aumento delle malattie autoimmuni, dell'invecchiamento della popolazione, dell'aumento dell'aspettativa di vita, dell'accesso ai test, del miglioramento della qualità dei dati dei registri nel tempo e, in misura minore, della riduzione della mortalità nel tempo”.
Dal lavoro inoltre è emerso come nei gruppi di età più giovane, sia l'incidenza sia la prevalenza fossero più alta nelle donne, con un aumento moderato con l'età, mentre negli uomini, entrambe fossero cresciute più marcatamente a partire dai 50 anni. Un dato - questo della diversa prevalenza e incidenza nei generi - confermato anche da uno studio retrospettivo di 10 anni condotto in Germania e pubblicato nel settembre del 2023 su Neuroepidemiology, i cui dati hanno mostrato anche un aumento della prevalenza di 1,8 volte nell'arco di tempo considerato.
Chiarisce Mantegazza: “La prevalenza è in aumento anche in Italia per svariati motivi. Il primo è un migliore approccio diagnostico che permette di identificare anche casi limite che prima non venivano considerati. Un altro fattore è l'aging della popolazione. Ora i dati epidemiologici mostrano due picchi di insorgenza della malattia: uno attorno ai 30 anni che è prevalente nelle donne e un altro attorno ai 60 anni e oltre, che riguarda principalmente gli uomini. Non abbiamo una spiegazione definitiva - conclude l'esperto - ma probabilmente giocano diversi fattori che insistono anche nella patogenesi della malattia. Per quanto riguarda l'aumento di incidenza in età avanzata, gli aspetti epigenetici come la storia infettiva dei pazienti potrebbero avere anche un ruolo, così come alcune modifiche a livello genetico che si osservano con l'aumento dell'età”.
Fonte: AboutPharma
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