(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli, controllandone la struttura, la forza e il movimento. Per questo motivo, la malattia determina atrofia muscolare progressiva e debolezza, che colpisce, in modo preponderante, gli arti inferiori e i muscoli respiratori. È noto, inoltre, che nel 95% dei casi, la patologia è causata da specifiche mutazioni nel gene SMN1, che codifica per la proteina SMN (Survival Motor Neuron), essenziale per la sopravvivenza e il normale funzionamento dei motoneuroni.
«Nonostante gli straordinari progressi della medicina e miglioramenti clinici ottenuti nei pazienti grazie alle nuove terapie, è ormai ampiamente accettato che non esiste ancora una vera e propria cura per la malattia – chiarisce Alessandro Usiello, professore di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del CEINGE e ideatore della ricerca –. Per questa ragione, l'identificazione di specifiche alterazioni biochimiche e molecolari che correlino con la gravità della malattia nei bambini malati di SMA e riflettano accuratamente il miglioramento clinico o l'assenza di miglioramento da parte delle terapie attuali è fondamentale, non solo per spiegare le differenze nella risposta clinica, ma anche per guidare lo sviluppo futuro di nuovi farmaci. Mentre è oggi dimostrato in modo inequivocabile che la neuro-infiammazione gioca un ruolo determinante per la progressione delle malattie neurodegenerative della terza età come il Parkinson e l’Alzheimer, fino ad oggi nella SMA non vi erano evidenze sperimentali che indicassero se la degenerazione precoce dei motoneuroni determinasse o si accompagnasse a uno stato neuroinfiammatorio».
«Sebbene altre ricerche cliniche di questo tipo sono assolutamente necessarie –, continua il professor Usiello – i nostri risultati rivelano per la prima volta l’esistenza di una condizione di neuroinfiammazione specificamente presente nel liquido cerebrospinale dei bambini affetti dalla forma più grave della malattia (SMA1) ma non nelle forme meno gravi (SMA2 e SMA3) e che veniva solo parzialmente attenuata dalla terapia con Nusinersen».
«In particolare, abbiamo riscontrato un aumento significativo dei livelli di diverse citochine pro-infiammatorie (IL-6, IFN-γ, TNF-α, IL-2, IL-17) e di fattori neurotrofici (PDGF-BB e VEGF) nel liquor dei pazienti SMA1, quando comparato a quello dei pazienti SMA2 e SMA3, che presentano livelli di queste molecole comparabili a bambini sani», specifica Francesco Errico, associato di Biochimica dell’Università Federico II-Dipartimento di Agraria e Co-Direttore del Lab di Neuroscienze Traslazionali CEINGE.
«Abbiamo scoperto che il trattamento con Nusinersen riduce significativamente i livelli liquorali solo di alcune citochine pro-infiammatorie nei pazienti SMA1 – spiega Tommaso Nuzzo, primo autore del lavoro, ricercatore di biochimica clinica dell’Università Vanvitelli, post doc presso il lab di Neuroscienze del CEINGE –. Ciò ci suggerisce che l’utilizzo di agenti antinfiammatori mirati potrebbe contribuire a migliorare i benefici clinici del farmaco stesso e, eventualmente, di altri trattamenti in grado di favorire l’aumento di SMN (Survival Motor Neuron)».
La ricerca, pubblicata su Communications Medicine (Nature Group), si è svolta in collaborazione con uno dei massimi esperti al mondo di SMA, Dr Livio Pellizzoni, Capo Laboratorio presso il Motoneuron Center della Columbia University (New York), Angela Chambery, professore ordinario di Biochimica Generale della Università Vanvitelli e i neurologi e pediatri Dr Enrico Bertini, Dottoressa Adele D’Amico e Dr Claudio Bruno, degli Ospedali Pediatrici Bambino Gesù di Roma e Giannina Gaslini di Genova, massimi esperti italiani di SMA.
Notizie specifiche su: Sma, atrofia, nusinersen, 22/02/2023 Andrea Sperelli


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