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alla 1° pagina..) L’immunoterapia rappresenta, insieme alle target therapy con farmaci a bersaglio molecolare, la più grande rivoluzione in campo oncologico degli ultimi anni: si tratta di una nuova strategia di trattamento che mira a stimolare il sistema immunitario del soggetto affetto da tumore in modo che attacchi ed elimini le cellule cancerose.
Nonostante gli enormi progressi, c’è ancora da fare qualche passo importante, soprattutto per il carcinoma polmonare non a piccole cellule: la possibilità di somministrare le nuove terapie è infatti subordinata a una precisa diagnosi molecolare. “I risultati degli studi relativi all’immunoterapia nell’Nsclc hanno iniziato a emergere nel 2013 e nel 2015 sono arrivate le prime approvazioni da parte delle autorità regolatorie, prima per la seconda linea di trattamento e successivamente anche per la prima linea”, spiega Arsela Prelaj, oncologa e ricercatrice dell’Int.
“Nell’arco degli anni si sono succedute molte ricerche, che hanno individuato diversi biomarcatori clinici, biochimici e biomolecolari di risposta all’immunoterapia, e tra questi è stato scelto il PD-L1, una proteina espressa nella superficie tumorale, con il quale ora si stratificano i pazienti e si sceglie il trattamento”.
Il problema, come sottolineato dalla ricercatrice, è che questo biomarcatore, approvato perché il migliore tra quelli individuati, non è perfetto. “In Italia, l’approccio terapeutico attuale prevede che i soggetti con PD-L1 elevato possano accedere all’immunoterapia da sola, mentre per quelli con PD-L1 basso accedano all’immunoterapia associata a chemioterapia”, prosegue Prelaj. “Esiste tuttavia una percentuale di pazienti con livelli bassi che risponde bene ugualmente all’immunoterapia da sola, come si è osservato quando ancora l’immunoterapia veniva data a tappeto”.
Da qui l’idea di Prelaj che si possa arrivare a una migliore profilazione molecolare del paziente non con uno, ma con più biomarcatori, da individuare analizzando i dati clinici, in parte già disponibili e in parte ancora da raccogliere, anche con l’uso dell’intelligenza artificiale, molto più efficiente dei metodi convenzionali nell’individuare correlazioni e informazioni salienti, magari sfuggite finora all’attenzione dei ricercatori.
È così che è nato il progetto di ricerca I3LUNG. “Il disegno dello studio prevede sia la raccolta di dati retrospettivi degli ultimi 10 anni, relativi a circa duemila pazienti, sia la definizione di una coorte prospettica con circa 200 pazienti, afferenti a sei centri clinici che vengono profilati sotto tutti gli aspetti: marcatori sanguigni, microbiota intestinale, sistema immunitario, trascrittoma e genoma”, dettaglia l’oncologa.
“Attualmente, abbiamo sviluppato la prima versione della piattaforma informatica entro la quale verranno depositati i dati retrospettivi, prevedibilmente entro maggio, poi si passerà ai prospettici”. L’obiettivo è riuscire a sviluppare, con tutti questi dati omici e di real world, algoritmi decisionali che consentano una reale personalizzazione delle cure oncologiche per l’Nsclc. Nello stesso progetto è previsto anche un coinvolgimento del paziente stesso nelle scelte terapeutiche. “Chiamiamo questi strumenti tool co-decisionali – precisa Prelaj -: essi permettono di considerare le preferenze delle persone che alla fine dovranno subire i trattamenti, personalizzando al massimo le scelte terapeutiche, considerando anche i rischi di eventi avversi di cui questi trattamenti non sono privi, facilitando così l’implementazione di questi strumenti nella pratica clinica”.
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12/04/2023 Andrea Sperelli
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