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alla 1° pagina..) responsabile della condizione. Come vettore è stato utilizzato un virus reso incapace di riprodursi.
Modificate in tal modo, le cellule sono state coltivate per ottenere lembi di pelle di dimensioni comprese fra 50 e 150 centimetri quadrati. La pelle ha cominciato ad aderire allo strato sottostante senza causare la comparsa di nuove vesciche e rinnovandosi costantemente nel corso dei 21 mesi successivi all’impianto.
«Era presente un dibattito scientifico sul fatto che in caso di trapianto autologo ci fosse o meno un'integrazione delle cellule coltivate nel nuovo organismo e se queste andassero a stimolare qualcosa, ma finora non c'era modo di distinguere tra le cellule coltivate e quelle naturali dello stesso paziente. In questo caso, invece, le cellule erano distinguibili dal punto di vista genetico e ci siamo resi conto che erano state integrate stabilmente solo le cellule staminali con le nuove caratteristiche», spiega Graziella Pellegrini, co-autrice dello studio pubblicato su Nature.
«Grazie alla differenza tra le cellule coltivate e quelle già presenti abbiamo anche potuto comprendere che le cellule progenitrici hanno una durata limitata e non contribuiscono alla rigenerazione cellulare di lungo termine, e che una cellula staminale specifica, se coltivata in modo appropriato, può rigenerare il suo tipo di tessuto e fornire una specifica quantità dello stesso».
Sono stati necessari anni di studio per arrivare a questi risultati. Il primo trapianto è avvenuto nel 2005, ma si trattava di due piccole zone. Il paziente che subì il trapianto è stato seguito per 10 anni per verificare l’eventuale comparsa di eventi avversi. Nel 2014 c’è stato il secondo impianto. In entrambi i casi nessun evento avverso si è manifestato, il che ha spinto i ricercatori a intervenire di nuovo e in maniera più complessa.
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24/01/2018 Andrea Piccoli
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