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alla 1° pagina..) pensavano che non si potesse fare nulla per la loro malattia», osserva Mauro Picardo, direttore della Fisiopatologia cutanea e del Centro di metabolomica dell’Istituto dermatologico San Gallicano di Roma. «Invece oggi la vitiligine si può affrontare con successo e in un prossimo futuro si potrà fare anche di più, grazie alla sempre maggiore conoscenza dei meccanismi che danneggiano e uccidono i melanociti, le cellule responsabili della pigmentazione della pelle».
«Non è una malattia ereditaria, ma i pazienti hanno una predisposizione genetica alle malattie infiammatorie o almeno un esaurimento più rapido e precoce della capacità di rigenerazione dei melanociti, anche questo su base genetica: la vitiligine, in altri termini, è più probabile in chi ha familiari che ne soffrono e la sviluppa più spesso chi incanutisce presto», spiega Picardo. «La patologia compare di solito in età prepuberale, fra i sette e i dieci anni, oppure fra i trenta e i quarant’anni; dagli anni Settanta a oggi si è osservato un progressivo ritardo nella manifestazione dei sintomi, segno che esiste un effetto dell’ambiente e che il miglioramento degli stili di vita e dei prodotti per detergere la pelle ha inciso sulla probabilità di malattia. Da ciò deriva che tutti, ma soprattutto chi ha familiari con vitiligine, possono prevenirla almeno in parte facendo più attenzione alla cura della pelle, fin da bambini: proteggere la cute dal sole, idratarla, utilizzare detergenti delicati aiuta a mantenere una buona barriera cutanea, che sembra alterata nei pazienti con vitiligine in maniera analoga a quanto accade in chi ha la dermatite atopica».
Utili in fase di trattamento la fototerapia specifica e gli immunomodulatori per uso topico. Circa il 60-70% dei pazienti risponde bene ai trattamenti e mostra una buona repigmentazione.
«Tuttavia non sempre e non tutti rispondono alle terapie, inoltre la pelle non è uguale ovunque: sul viso, per esempio, la repigmentazione è più frequente e rapida rispetto a mani e piedi. Dipende dalla quantità di peli, dalle riserve di cellule staminali e da vari altri fattori, ma è necessario saperlo per avere aspettative adeguate».
L’ultima novità è l’utilizzo di due laser diversi con plasma arricchito in monociti, una tecnica messa a punto da Santo Raffaele Mercuri del San Raffaele di Milano in uno studio pilota. I dati mostrano che il 59% dei pazienti arriva a una buona repigmentazione.
«I monociti hanno una grande capacità rigenerativa, antinfiammatoria e favoriscono la formazione di nuovi vasi sanguigni: possono perciò potenziare i risultati della fototerapia», racconta Mercuri. «Si tratta di un’opzione che può valere la pena provare perché non abbiamo riscontrato effetti collaterali di rilievo: servono tre accessi in ospedale nell’arco di tre settimane ed è un’opportunità per gli adulti con una vitiligine stabile. I risultati sono buoni, ma come per altre tecniche il viso, che è più vascolarizzato, risponde particolarmente bene; nei nostri pazienti, si è avuta una buona repigmentazione anche sulle mani».
La vitiligine, purtroppo, ha la tendenza a recidivare: «Sappiamo che la risposta autoimmune che provoca la morte dei melanociti “lascia sul campo”, nella pelle, cellule immunitarie di memoria che possono riattivare la reazione a distanza di tempo. Anche dopo una fototerapia che abbia funzionato, quindi, nel 30-40 per cento dei casi si può avere una successiva depigmentazione sulle macchie già trattate», fa notare Picardo.
Quando nulla sembra funzionare si può tentare il trapianto di melanociti, cioè il prelievo di cellule da aree del corpo non intaccate dal problema e il reimpianto fra le aree macchiate. Per farlo, però, devono verificarsi alcune condizioni: «La vitiligine deve essere in una fase stabile e si può intervenire solo su aree di pelle non troppo ampie. Inoltre è una sorta di camouflage biologico, non una cura definitiva: non c’è la certezza che non si abbiano ricadute e che anche la stessa macchia non si ripresenti più avanti», conclude Picardo.
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08/10/2021 Andrea Sperelli
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