(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) come fatica cronica, disturbi di ansia e del sonno.
I ricercatori hanno studiato retrospettivamente tramite RNM e la PET il cervello di alcuni soggetti sani pre-pandemia e li hanno comparati con dei soggetti sani, negativi al Covid, analizzati durante il periodo della pandemia. Oltre allo studio per immagini, nei due gruppi di pazienti sono stati valutati alcuni elementi infiammatori presenti nel sangue e la presenza assenza di sintomi clinici. I soggetti analizzati durante la pandemia riferivano disturbi dell’umore nel 54% dei casi, fatica mentale (36%) e fisica (27%). Lo studio PET e MRI identificava aree di aumentata funzionalità, indicative di neuro-infiammazione; in particolare la sede dell’infiammazione era specifica per il sintomo, quindi i pazienti con fatica cronica avevano un aumento del segnale nel solco intraparietale, quelli con i disturbi dell’umore e della fatica avevano un’iperattivazione nell’ippocampo. Queste evidenze erano presenti solamente nei pazienti analizzati durante il periodo Covid. Inoltre, anche i parametri infiammatori analizzati nel campione di sangue erano più alti nei pazienti analizzati durante la pandemia a confronto con quelli pre-pandemia.
Infine, tramite metodiche complesse di indagine biomolecolare i ricercatori hanno identificato una relazione tra i parametri infiammatori e le cellule del sistema nervoso. Lo studio, sebbene con dati preliminari, conferma che lo stress, la mancanza di relazioni sociali e l’isolamento sono in grado di causare la neuro-infiammazione.
“Ci sono vari elementi che possono aver contribuito alla neuroinfiammazione durante il periodo della pandemia da Covid, lo stress che a livelli bassi ha un effetto benefico, in eccesso determina una serie di cascate infiammatorie che colpiscono oltre al cervello altre parti del corpo”, spiega Arianna Di Stadio, neuroscienziata, docente all’Università di Catania e ricercatrice onoraria presso il Laboratorio di Neuroinfiammazione dell’UCL Queen Square Neurology di Londra e impegnata in vari studi sulla neuroinfiammazione. “Dall’altra parte l’assenza di relazione sociali sappiamo avere un impatto molto negativo sull’encefalo, come dimostrano diversi studi fatti sulle persone anziane con deficit sensoriali che a causa delle limitate relazioni sociali hanno un degrado precoce delle funzioni cognitive evidenziabile anche tramite indagini diagnostiche. Durante la pandemia si sono ridotte le passeggiate, l’attività sportiva ed entrambe le attività hanno un grande effetto nel ridurre i ROS, le scorie prodotte dal nostro corpo. L’alimentazione è divenuta una fonte di scarico dello stress con un ripiego sul cibo spazzatura che ha un effetto consolante, ma che incrementa gli indici infiammatori. Infine i disturbi del sonno a causa dello stress hanno ulteriormente contribuito ad aumentare gli indici infiammatori; quest’ultimo aspetto ha poi un grosso impatto sulla neuro-infiammazione perché è proprio durante il sonno che il nostro cervello elimina le scorie prodotte durante l’attività diurna. Questo interessantissimo studio apre nuovi orizzonti non solo di ricerca ma anche di trattamento; infatti a oggi sappiamo che il trattamento precoce della neuroinfiammazione potrebbe proteggere dall’insorgenza di malattie neurodegenerative”.
In merito alle conoscenze che oggi la ricerca scientifica ci mette a disposizione, esistono principi attivi, come PEALUT, in grado di contrastare la neuroinfiammazione permettendo quindi di agire anche in prevenzione sulla componente stressogena responsabile dell’attivazione di tale risposta.

Notizie specifiche su: Covid, stress, infiammazione, 07/10/2022 Andrea Sperelli


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