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alla 1° pagina..) linfoblastiche, nei malati che non hanno risposto o hanno risposto in modo incompleto ai trattamenti convenzionali. Esiste però una quota consistente di pazienti che non risponde neppure alle terapie Car-T, o risponde solo parzialmente.
Precisa Corradini: “Quanto le Car-T vengono utilizzate in pazienti con linfomi che hanno una ricaduta di malattia dopo i trattamenti convenzionali e non hanno più alternative terapeutiche il 40-45 % dei soggetti sottoposti a questa terapia sopravvive a lungo termine, cioè è vivo e in remissione a un anno ed è guarito, perché le ricadute tardive oltre l’anno sono eventi molto rari. Rimane però il problema del 55-60% che non risponde alle Car-T, oppure risponde solo parzialmente e ha una nuova ricaduta a breve termine”.
Dall’analisi su 51 pazienti - un campione “discretamente numeroso” secondo Corradini - sono emersi alcuni dati fondamentali. “Il primo è che un livello di Dna libero circolante tumorale al di sopra di una certa soglia, individuata nello studio, è predittivo di una scarsa risposta alla terapia con le Car-T” continua l’oncoematologo dell’Int. “Questo è particolarmente importante perché attualmente sono disponibili farmaci, come gli anticorpi inibitori dei checkpoint immunitari o gli anticorpi bispecifici, come il glofitamab, che potrebbero modulare la risposta in alcuni pazienti, se individuati per tempo”. Un risultato definito dagli autori “molto incoraggiante, che però dipende in modo cruciale dal tipo di mancata risposta terapeutica”.
Chiarisce Corradini: “Se il paziente non ha mai risposto alle Car-T e va quindi incontro a una franca progressione, purtroppo non ci sono opzioni terapeutiche efficaci. Diverso è invece il caso di un paziente che ha avuto una risposta parziale alle Car-T e in cui magari la malattia va in progressione dopo qualche mese. In questo caso, la malattia viene controllata meglio, ottenendo una migliore risposta e una maggiore sopravvivenza, se in concomitanza viene fatto qualche trattamento immunologico, o anche una chemioterapia o una radioterapia. Questo è il secondo risultato importante che abbiamo ottenuto, che conferma quanto già emerso da altri studi”.
Rilevante ai fini degli esiti clinici è anche il tempo che trascorre dal trattamento Car-T alla progressione di malattia. Corradini cita come esempio il caso di un paziente che risponde alle Car-T per quattro mesi per poi andare incontro nuovamente a una progressione di malattia. “Se si interviene successivamente con un anticorpo bispecifico, la sua probabilità di rispondere al trattamento è decisamente più alta rispetto a un soggetto che purtroppo va già in progressione dopo 30 giorni e che quindi mostra una risposta brevissima o addirittura non mostra alcuna risposta” precisa l’esperto. “Ciò induce a considerare la prima come una malattia parzialmente immuno-sensibile e la seconda una malattia del tutto immuno-resistente”.
Il messaggio conclusivo per Corradini è però positivo. Nel lavoro pubblicato di recente infatti gli autori mostrano che i pazienti che hanno avuto una ricaduta dopo la terapia con Car-T hanno comunque una possibilità del 30% di sopravvivenza a due anni. “Può sembrare un numero limitato, ma occorre considerare che si tratta di pazienti che in precedenza avrebbero avuto un tracollo rapidissimo della situazione clinica”, chiosa l’onco-ematologo. “L’obiettivo della nostra ricerca è ora riuscire a individuare in anticipo la quota di pazienti che con maggiore probabilità risponderanno alla terapia con le Car-T e la quota che invece sarebbe meglio inviare direttamente alla terapia con anticorpi bispecifici, in un’ottica di sempre maggiore personalizzazione delle cure oncologiche”.
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17/10/2023 Arturo Bandini
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