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alla 1° pagina..) cardiovascolare aterosclerotica clinicamente evidente, mentre il restante 32% era in prevenzione primaria.
A guidare lo studio Pasquale Perrone Filardi, Direttore della Scuola di specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università “Federico II” di Napoli: “I pazienti nel mondo reale hanno valori di colesterolo LDL elevati, per esempio nel caso di quelli reclutati nello studio erano superiori ai 140 mg/dL – sottolinea l’autore dello studio. “Per raggiungere i livelli target di LDL, gli anticorpi monoclonali anti-PCSK9 si confermano farmaci molto potenti: se negli studi di fase 3 hanno ridotto il colesterolo del 59%, la riduzione osservata nel nostro studio è stata quasi del 65%, portando i pazienti a rischio alto o molto alto a 51,5 mg/dL al momento dell’ultima osservazione e con una compliance al trattamento che supera il 95%”.
Lo studio ha valutato la persistenza in terapia a 6, 12 e 18 mesi dalla prescrizione. Dopo i primi 6 mesi il 99,7% dei pazienti stava proseguendo la terapia. Al momento della pubblicazione dello studio nei pazienti con un follow up superiore a 12 e a 18 mesi la persistenza è stata rispettivamente del 98,1 e del 97,5%. Per quanto riguarda l’aderenza, 760 dei 798 pazienti (95,2%) si sono dimostrati altamente aderenti al trattamento.
“Sul 20% dei pazienti dello studio abbiamo visto un utilizzo precoce di queste terapie”, commenta Perrone Filardi. “Questo è molto importante perché oggi in Italia, grazie alla possibilità di avvalersi di queste terapie durante il ricovero ospedaliero per un infarto, abbiamo la possibilità di intervenire sempre più precocemente sul rischio residuo, nella fase più vulnerabile successiva a un evento cardiovascolare, così da diminuire il rischio di andare incontro a un nuovo evento”.
“Ridurre il colesterolo – spiega il professor Paco Pignatelli, presidente della sezione regionale SIMI Lazio-Molise – vuol dire riuscire a rallentare la progressione dell’aterosclerosi, in tutti i distretti dell’organismo. Per farlo abbiamo a disposizione farmaci molto efficaci, come le statine, alle quali da qualche anno si è aggiunta una nuova strategia, legata all’utilizzo degli inibitori del PCSK9”.
Si tratta di una grande novità terapeutica, perché a fronte della necessità assoluta di ridurre i livelli di colesterolo, soprattutto dopo un evento cardiovascolare (cioè in prevenzione secondaria), obiettivo che per anni si era perseguito con la prescrizione di statine ad altissime dosi, molti pazienti abbandonano questi farmaci a dosaggi eroici a causa degli effetti collaterali (dolori alle gambe e debolezza muscolare). “L’introduzione degli inibitori di PCSK9 – prosegue il professor Pignatelli – permette di ridurre il dosaggio delle statine e di controllare il colesterolo cattivo (LDL) con ancora maggior successo”. A differenza delle statine che si assumono per bocca tutti i giorni, questi nuovi farmaci si somministrano per via iniettiva (nel sottocute) una volta ogni 1-2 settimane. “Nella Regione Lazio – prosegue il professor Pignatelli – questi farmaci possono però essere prescritti solo da cardiologi e internisti. Ma nel momento in cui individuiamo un paziente che sia stato rivascolarizzato dopo un infarto o che abbia un’arteriopatia periferica, bisognerebbe somministrare questi farmaci, perché sono in grado di ridurre il colesterolo LDL più di qualunque altra terapia finora a disposizione”.
Perché il detto inglese the lower, the better, sembra essere fatto apposta per i livelli di colesterolo. E le linee guida internazionali consigliano infatti di ridurre l’LDL sotto i 70 mg/dl in prevenzione secondaria. “Con queste terapie – prosegue Pignatelli – l’LDL arriva facilmente sotto i 50 mg/dl, senza alcun pericolo per il paziente (gli studi condotti finora dimostrano che anche valori di LDL inferiori a questi non si associano a significativi effetti collaterali)”. Rispetto al placebo, il trattamento con PCSK9 riduce fino al 60% i livelli di colesterolo LDL e questo ha come ricaduta una riduzione della mortalità cardiovascolare per infarto e ictus del 20%. Ciò significa che il numero di pazienti che è necessario trattare per evitare un evento (NNT) è di 16 in 4 anni (ogni 16 pazienti trattati si risparmia un evento cardiovascolare, come ad esempio un infarto), nei soggetti che partono da un colesterolo LDL superiore a 100 mg/dl. Nonostante tutte queste evidenze scientifiche però, gli inibitori di PCSK9 sono ancora ampiamente sotto-utilizzati, anche nei soggetti ad alto rischio.
“Non più del 30% dei pazienti che ha avuto un infarto o che sia stato rivascolarizzato (mediante angioplastica, stent, by-pass) – ricorda il professor Pignatelli – sono in terapia con questi farmaci. L’ostacolo fondamentale è legato ad alcuni paletti ‘burocratici’ riguardanti la prescrivibilità di questi farmaci che, molte società scientifiche, tra le quali la nostra, stanno cercando di far superare. Molto importante è anche il rapporto dell’internista con il territorio e, in particolare, con i medici di famiglia (MMG), che è anche uno degli obiettivi del nostro congresso. Vorremmo sensibilizzare i MMG su questo argomento per arrivare a condividere con loro dei protocolli di prevenzione. Medici di famiglia e internisti degli ospedali di riferimento sul territorio devono collaborare e scrivere dei protocolli condivisi di prevenzione che possano aiutare il paziente e facilitare il percorso per portarlo, quando serve, ad avere la prescrizione del farmaco più adatto”.
“I dati di ampi database clinici – ricorda il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) - confermano che i livelli di colesterolo LDL, quello cattivo, sono ancora lontani da quelli raccomandati dalle linee guida nazionali e internazionali, sebbene nel corso degli ultimi anni vi sia stato un miglioramento. Oltre a fattori legati alla ridotta aderenza alla terapia da parte dei pazienti, vi è certamente un problema di inerzia terapeutica, dovuta anche alle difficoltà prescrittive di alcuni farmaci più moderni, come gli inibitori del PCSK9. In considerazione dell’elevata efficacia di questi farmaci e del loro profilo di sicurezza, è auspicabile che siano al più presto introdotti protocolli condivisi tra i vari medici specialisti e i MMG e procedure prescrittive atte a garantire un accesso alle migliori cure per i pazienti ad alto rischio cardiovascolare”.
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15/02/2023 Andrea Sperelli
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