(2° pagina) (Torna alla 1° pagina..) New England Journal of Medicine, che ha visto protagonisti diversi specialisti italiani: a partire da quelli di sette cardiologie presenti in Emilia-Romagna.
Il lavoro, coordinato dai camici bianchi dell’azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara e presentato nel corso del congresso della Società europea di cardiologia, ha visto coinvolti oltre 1.445 pazienti con più di 75 anni colpiti da un infarto del miocardio e ricoverati in trenta ospedali tra Italia, Spagna e Polonia. In tutti i casi la malattia riscontrata era di tipo multivasale.
Tradotto: tramite una coronarografia era stata riscontrata una lesione responsabile dell’evento acuto più una serie di altre, che sul piano clinico non avevano ancora dato segno della loro presenza.
Due le strategie messe a confronto: il trattamento della sola lesione responsabile dell’infarto con quello completo, che prevedeva la riapertura anche delle ostruzioni potenzialmente in grado di generare un’altra ischemia.
Il follow-up a cinque anni ha premiato la seconda opzione: con una riduzione del rischio integrato di morte, secondo infarto, ictus e nuova angioplastica quantificata nel 27 per cento.
Tutto ciò senza comportare ulteriori conseguenze per pazienti comunque anziani: come tali considerati a maggior rischio di complicanze sia durante l’angioplastica e la successiva terapia farmacologica (aspirina, antiaggregante e statina) necessaria dopo l’impianto di stent.
“Siamo orgogliosi di aver dato un forte contributo a uno studio che offre al crescente numero di pazienti anziani un trattamento complesso e aggressivo, ma che porta loro gli stessi benefici già dimostrati nei più giovani”, afferma Gianni Casella, direttore dell’unità operativa complessa di cardiologia dell’ospedale Maggiore di Bologna, coinvolto nello studio.
Secondo Alessandro Navazio, alla guida della cardiologia dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, “le conclusioni di questo lavoro sono importantissime e potrebbero influenzare il comportamento e le scelte dei colleghi fin da subito, oltre ad avere un impatto sulla stesura delle prossime linee guida europee dedicate al trattamento dell’infarto del miocardio”.
Il documento potrebbe considerare pure un’altra novità emersa dal congresso di Amsterdam: la superiorità dell’uso dell’imaging intravascolare rispetto all’angiografia come supporto per l’intervento di angioplastica.
Un dato emerso da due studi - Ilumien IV e October: anch’essi pubblicati sul New England Journal of Medicine - condotti su pazienti infartuati con caratteristiche diverse (lesioni complesse nel primo caso, della biforcazione nel secondo).
Entrambi hanno dimostrato che sia la tomografia a coerenza ottimale sia l’ecografia intravascolare rendono più efficace l’impianto dello stent: con meno complicanze e trombosi. Un supporto, in questo senso, può giungere anche dall’intelligenza artificiale.
“L’uso nella routine della tomografia a coerenza ottica o dell’ecografia intravascolare migliorerà la sopravvivenza libera da eventi del paziente - ha spiegato Gregg Stone, cardiologo interventista della Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York e coordinatore dello studio Ilumien IV -. Speriamo che questi dati abbiano un impatto sulle linee guida: dobbiamo lavorare per rimuovere gli impedimenti all’aumento della guida per l’imaging intravascolare per la maggior parte dei pazienti trattati con l’angioplastica”.

Fonte: AboutPharma
Notizie specifiche su: angioplastica, cuore, infarto, 02/11/2023 Andrea Sperelli


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